lunedì 23 maggio 2022

"Israele - Una storia in 10 quadri", di Claudio Vercelli

Qui di seguito, la mia recensione di "Israele. Una storia in 10 quadri", di Claudio Vercelli (Laterza) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di sabato 21 maggio.

“Questo libro non è una storia dello Stato di Israele”, scrive l’autore alla prima riga. Claudio Vercelli, di storie di Israele, ne ha già scritte almeno un paio, più altri saggi su genocidio, negazionismo, neo-fascismo eccetera, tutti caratterizzati da grande spessore intellettuale e rigore storiografico.

In questi “dieci quadri”, diversamente, Vercelli condensa l’insieme delle controversie – storiche, religiose, politiche, semantiche – che ruotano intorno al sionismo, con le tante sfaccettature relative all’origine, allo sviluppo e alla vita dello Stato di Israele.

Per cominciare: Stato degli ebrei o Stato ebraico? La nascita di Israele è il prodotto del “sionismo politico”, che si differisce nettamente dall’antico sionismo religioso e messianico, al quale pure è intrecciato. Di conseguenza, il popolo israeliano non è il “Popolo d’Israele” della tradizione biblica: quest’ultimo mantiene le sue radici in un passato millenario, mentre il primo si riconosce nelle istituzioni politiche nate nel 1948, e guarda avanti, al futuro della nazione. Nella visione di Herzl, lo Stato degli ebrei potrà esistere solo se sarà moderno, laico, occidentale.

Inoltre, “non esiste nessun eccezionalismo ebraico”, sottolinea l’autore. Per contro, esiste (eccome!) un eccezionalismo opposto: quello con cui cristiani e musulmani hanno sempre trattato la cosiddetta “questione ebraica” nel corso dei secoli; esiste cioè “il predominio e la persistenza di un tratto profondo, archetipico, ineludibile, in ragione del quale è lecito dubitare dell’appartenenza degli ebrei all’umanità”. Secondo questa visione, gli ebrei sarebbero caratterizzati da “una diversa natura di fondo, che riguarda la loro essenza stessa, connotata da una perfidia e malvagità insuperabili”, concezioni che, nel corso della storia, hanno prodotto via via l’antigiudaismo cristiano, l’antisemitismo razziale dell’8-900, e oggi l’antisionismo denigratorio nei confronti di Israele. Proprio al nesso fra antisemitismo e antisionismo, “Il ramo storto dell’umanità”, è dedicata la parte finale del volume.

Uno spazio particolare è riservato alla controversa figura di Vladimir Jabotinsky, autore del contestato e profetico saggio “Il muro di ferro” (1923) e leader carismatico della destra nazionalista. Questa componente, messa ai margini da Ben Gurion per quasi un trentennio, sale al potere nel ’77, segnando un cambio di paradigma che in seguito troverà un ulteriore sviluppo nella leadership di Bibi Netaniahu, destinato a guidare il governo di Israele per oltre quindici anni.

Oggi Israele è una realtà in cui vivono 9,3 milioni di abitanti, circa metà dei quali “laici” (di questi, il 40 si professa non credente). Su 10.000 lavoratori, 140 sono ingegneri (in Usa 70, nella Ue 50, nei paesi arabi 5). Il suo governo investe in ricerca e sviluppo il 5% del Pil, contro il 2,5 degli Stati Uniti e il misero 0,9 dell’Italia.

giovedì 12 maggio 2022

L'amico armeno, di Andrei Makine

Qui di seguito, la mia recensione di "L'amico armeno", di Andrei Makine (La nave di Teseo) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di ieri.

“Lasciammo il cubo. Fuori, un sole basso e rosso ci accecò. Prima di scendere la scarpata coperta di rovi e di fili spinati, Sarven commentò con tristezza: Sai, da noi c’è un proverbio che dice: ‘Provando vergogna per ciò che vede durante il giorno, il sole tramonta arrossendo’. Sarebbe bene che gli uomini facessero altrettanto”.

In un’epoca in cui la letteratura è investita da un generale processo di standardizzazione, è doveroso riconoscere e segnalare i rari libri di alta qualità, capaci di lasciare un segno e di suscitare un’emozione autentica nell’animo del lettore. A questa gamma appartiene L’amico armeno, romanzo breve, intenso e toccante di Andreï Makine, scrittore nato nel ’57 in Siberia e naturalizzato francese, membro dell’Académie Française dal 2016.

Il romanzo – ispirato a un episodio dell’adolescenza dell’autore - è ambientato a Irkutsk, sulle rive del fiume Ienissei, in epoca tardo-sovietica. Qui, in un ambiente ostile e oppressivo, vive un piccolo gruppo di armeni, appena una decina, fra cui il giovane Vardan, il protagonista del libro, coetaneo dell’io narrante. Fra i due ragazzi si stabilisce un’amicizia strana, un rapporto sbilanciato, dominato dalla personalità enigmatica e introversa dell’armeno, che affascina l’amico con osservazioni spiazzanti e comportamenti imprevedibili. Assai più di un compagno di scuola, Vardan si rivela un maestro e una guida, nella vita squallida e livida della provincia siberiana.

Accanto a Vardan, spiccano altre figure della piccola comunità armena, in particolare due donne, la madre e la sorella del ragazzo. Quest’ultima ogni giorno si reca in carcere a trovare il marito, detenuto con un gruppo di indipendentisti armeni, in attesa di un processo politico il cui esito angoscia la piccola e dignitosa comunità.

Da Vardan il giovane narratore viene a conoscenza degli orrori e dello sterminio patiti dal popolo armeno. “Loro non hanno avuto l’aiuto di alcun dio. Nessuna divinità che abbia lanciato un grido. No, nessuno. Come se l’intero universo avesse taciuto”.

Vardan è segnato da una malattia rara, ma a scuola persino i bulli si abituano a non tormentarlo; l’armeno, piccolo e malaticcio, sorprende coetanei e insegnanti con una sensibilità superiore, un’irriducibile diversità e per la capacità di interpretare l’esistente sempre da un punto di vista eccentrico.

“Così, i folli e i poeti sfuggono talvolta alla rete di questa esistenza comune, legittimata dalle nostre abitudini, dalle nostre paure, dalla nostra incapacità di amare”.