venerdì 28 giugno 2019

"Studi preliminari di sociologia del diritto", di Theodor Geiger

Qui di seguito, il testo integrale della mia recensione di "Studi preliminari di sociologia del diritto", di Theodor Geiger (Edizioni Mimesis) pubblicato sul quotidiano Il Foglio di stamane.


"Apparsi per la prima volta nel 1947, questi “Studi preliminari” di Theodor Geiger (1891-1952) sono considerati da molti giuristi un'opera fondamentale. Il testo, pur basandosi su numerose e cospicue ricerche sociologiche, che ne confermano l’elevato valore euristico, per l'impianto logico-deduttivo utilizzato dall'autore, e per l'ampiezza dei temi trattati, è stato inteso anche come un trattato di teoria generale del diritto. Esce ora per la prima volta in Italia grazie a Mimesis, nella collana “Law Without Law”, fondata e diretta di Morris L. Ghezzi (1951-2017) curatore del volume.
Alla base della teoria di Geiger vi è la distinzione fondamentale fra “diritto materiale”, che studia come la società condizioni e determini il diritto, e “diritto formale”, che studia il diritto inteso come sistema culturale che plasma e regola la vita sociale. E’ all’interno di questo secondo campo, che si manifestano gli effetti sociali dei singoli istituti giuridici - come la famiglia, la proprietà, i procedimenti giudiziari, le strutture organizzative dello Stato democratico.
L’opera è divisa in tre parti. Nelle prime due, l’autore descrive il passaggio dall'ordinamento sociale a quello giuridico e analizza la struttura dell'ordinamento giuridico stesso. Nella terza parte, prende in considerazione il diritto nei rapporti verso l'esterno: morale, politica, coscienza giuridica.
Il passaggio dall'ordinamento sociale all'ordinamento giuridico, seguendo un metodo "ipotetico-deduttivo", avviene in quattro fasi: 1) quella dell'uso, in cui il comportamento viene attuato per forza di abitudine, in conformità di modelli già consolidati; 2) quella del costume, nella quale il modello di comportamento si manifesta come obbligatorio, mediante la reazione dell'opinione dei membri del gruppo al comportamento deviante; 3) quella della regola del costume, che esprime verbalmente la correlazione tra agire conforme e approvazione sociale da un lato, e agire difforme e sanzione sociale dall'altro; infine, 4) quella della statuizione, che si verifica quando al nucleo normativo - sorto per via consuetudinaria - si sostituisce una “proposizione normativa proclamativa”, che esprime cioè una norma positiva.
È in quest'ultima fase, in cui sostanzialmente si passa dalla consuetudine al diritto, che Geiger fa dipendere l'obbligatorietà dalla sanzione.
L’autore esamina anche il problema delle fonti del diritto, rilevando che, nell'ordine del tempo, si presenta prima la consuetudine, successivamente la giurisdizione o l'istituzione giuridica, poi la legislazione, che emana le norme astratte, e infine, molto più tardi, la scienza del diritto. Geiger spiega inoltre che si può sempre misurare il grado delle probabilità con cui le sanzioni sono o non sono applicate, e le norme sono o non sono efficaci.
Nella terza parte del libro, riguardo al rapporto tra diritto e morale, Geiger osserva che, mentre nelle comunità primitive l'uno e l'altra praticamente coincidono, nelle società più evolute si nota una progressiva separazione dei due termini. Di conseguenza, da un lato, il diritto progressivamente si secolarizza, da un altro lato la morale si interiorizza sempre più. Per via di questa progressiva separazione, oggi non si può più parlare di morale come strumento di controllo, accanto e al di sopra del diritto; si deve invece constatare la separazione tra i due termini. Geiger insomma cerca di risolvere il problema liberando completamente la teoria del diritto da ogni vincolo che la unisca alle concezioni della morale, polemizzando con i filosofi sul tema più generale dei giudizi di valore".

lunedì 17 giugno 2019

Verga - Breve la stagione felice


Qui di seguito, il testo integrale della mia recensione di "Verga - Breve la stagione felice", di Elio Gioanola (Jaca Book) pubblica sul quotidiano Il Foglio di sabato 15 giugno.


Dura appena un decennio la “stagione felice” di Giovanni Verga. Gli anni dal 1878 al 1889 sono quelli della creatività letteraria, per il maggiore scritore italiano della seconda metà dell’Ottocento. Né prima né dopo, l’autore siciliano riesce a produrre alcunché di significativo; anzi, secondo la critica di Elio Gioanola, già nel secondo e ultimo romanzo – il Mastro Don Gesualdo – egli “mostra tutti i segni  di un’irresistibile decadenza”.
Il giovane Verga debutta con testi tardo-romantici, del tutto trascurabili, poi è il “borghese quasi aristocratico che si lascia andare ai ricordi di una povera ragazza siciliana”, con il racconto “Nedda”, che segna una svolta, sia pure inconsapevole. La novelle di “Vita dei campi” lo impongono all’attenzione del grande pubblico, compresa la celebre “Cavalleria rusticana” che sarà rappresentata a teatro da Eleonora Duse e poi messa in musica da Mascagni. Fra l’80 e l’85 Verga scrive tutti i racconti migliori e il suo massimo capolavoro, “I Malavoglia”, l’apice della sua carriera di scrittore. Dirà l’amico Capuana con ammirazione: “I Malavoglia sono la più completa opera d’arte che si sia pubblicata in Italia dai Promessi Sposi in poi”.
“Definire Verga pessimista come Leopardi, è dire nulla”, avverte Gioanola, e altrettanto può dirsi della teoria di una sua presunta “conversione” al verismo. In realtà, la carriera letteraria dimostra che per Verga “extra Siciliam nulla salus”. Solo nella terra d’origine lo scrittore riesce a esprimersi, a identificarsi con l’umanità che osserva, a “rompere con le nostre tradizioni letterarie impostate sulla pedanteria”. Per la prima volta viene presentata un’umanità miserabile e tuttavia rassegnata al proprio destino, nelle forme di un’immedesimazione che supera, con difficoltà e resistenze interiori, le differenze di livello fra chi fra chi racconta e chi è raccontato.
Ma Verga non si accontenta, vuole ostinatamente scrivere il “ciclo dei Vinti”, una serie di cinque romanzi: gli altri tre non vedranno mai la luce. Proprio questa ossessione, per lui irraggiungibile, lo porterà alla sterilità e al definitivo silenzio, fino alla morte nel 1922. Gioanola stronca con durezza la gran parte dei critici letterari di stampo marxista (da Petronio a Luperini, ad Asor Rosa e altri) ed esrpime sul “Mastro” non poche riserve. Egli giudica il testo “pieno di lungaggini e difetti”, e parla di “contrasto irriducibile” fra il lirismo del primo romanzo e il disegno narrativo del secondo, che presenta “momenti stanchi e persino annoiati”, fino a giudicare Verga un autore sostanzialmente “provinciale”. Critiche forse eccessive, per uno scrittore che disse di sé: “Ho cercato sempre di essere vero, senza essere né realista né idealista né romantico”.



venerdì 14 giugno 2019

"Una merce molto pregiata", di Jean-Claude Grumberg


(...) Il romanzo è ispirato a un episodio della Shoah realmente accaduto, sul quale si è indagato a lungo. Una famiglia con un neonato è deportata in un vagone piombato, il  destino della creatura appare segnato. Approfittando di un rallentamento del treno, il piccolo fagotto viene fatto passare da una finestrella e lasciato cadere nella neve lungo la ferrovia. Meglio affidarlo al caso, che a una morte certa. Una contadina intravista di passaggio forse lo raccoglierà, forse avrà pietà di lui. Forse, potrà vivere. (...)
“Il treno sbuffa e avanza. Ma stavolta, passando, le risponde (...) Dapprima  è spuntata dalla stretta finestrella un lembo di stoffa, brandito da una mano, una mano umana o divina, che lo lascia di colpo, e la stoffa va a depositare il suo fardello nella neve (...) La povera boscaiola si precipita sul fagottino poi avidamente, febbrilmente, scioglie i nodi come se scartasse un regalo misterioso. A quel punto appare, che meraviglia!, l’oggetto, quell’oggetto che desiderava da tanti giorni, l’oggetto dei suoi sogni”. (...)
Quell’esserino deve vivere. Occorre nutrirlo, fargli trangugiare qualcosa. Occorre procurarsi del latte, anche a costo di addentrarsi nei luoghi più reconditi e pericolosi.
“In breve, ha raggiunto quella parte del bosco dove nessuno si avventura senza tremare nè rimettere l’anima a Dio. Ai margini trova il buio perenne che regna in quella parte del bosco. Spia all’interno. L’uomo è lì? La sta vedendo? E la capra? La capra è ancora al mondo? Dà ancora latte?”.

A questo link, la recensione completa di "Una merce molto pregiata", di Jean-Claude Grumberg (Edizioni Guanda) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di mercoledì 12 giugno.