venerdì 29 aprile 2022

L'uccello blu di Erzurum, di Ian Manook (Fazi)

Qui di seguito, la mia recensione di "L'uccello blu di Erzurum", di Ian Manook (Fazi) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di mercoledì 27 aprile.

“I tre predoni già scendono al galoppo lungo il pendio, con la sciabola sguainata. La madre urla alle figlie di nascondersi in mezzo al grano e afferra una forca, ma il primo cavaliere ha già raggiunto la piccola Haiganoush. Corri, Haiganoush, corri! Il cavallo piomba sulla bambina come un drago. (…) La lama disegna nel cielo un grande sole tondo che la bambina guarda impietrita, e l’uomo l’abbatte sulla testa di Haiganoush nel momento stesso in cui la forca di Gaianée gli si conficca nelle costole”.

E’ ispirato ai tristi racconti d’infanzia della nonna, originaria proprio di Erzurum, il lungo romanzo che lo scrittore francese Ian Manook (pseudonimo di Patrick Manoukian) dedica al genocidio degli armeni.

Il libro racconta, con cruda dovizia di particolari (su richiesta dell’editore, sono state eliminate alcune descrizioni troppo forti) le tremende vicissitudini di un popolo martoriato: dall’eliminazione di tutti i maschi adulti, trucidati nella maniera più barbara, alla deportazione di donne, vecchi e bambini, agli stupri sistematici delle ragazzine, poi vendute come servette alle famiglie turche o come prostitute negli harem del morente impero ottomano.

Dopo la parte iniziale, dedicata al genocidio, il romanzo si dirama nella storia del Novecento europeo. La trama emigra in Francia, in Germania, negli Stati Uniti, nell’Armenia sovietica, inseguendo i suoi protagonisti. Sulla scena del mondo si avvicendano i nostri eroi, le cui vite vengono gettate come dadi sul tavolo della Storia, generando un alternarsi di speranze e di angosce. Spesso riemergono a sorpresa personaggi che il lettore credeva morti o scomparsi. Drammi e tragedie si susseguono a ritmo incalzante.

Fra mille vicissitudini, i protagonisti riescono a trovare anche la felicità: nel romanzo di Manook ci sono amore e poesia, sangue e violenza, situazioni grottesche e persino un po’ di sesso (ma poco). Non mancano ovviamente i buoni: il derviscio che sa imporsi con lo sguardo, l’ufficiale medico tedesco che soccorre i feriti, l’americano compassionevole che salva i protagonisti nelle circostanze più drammatiche.

L’uccello blu di Erzurum è un romanzo avventuroso, in cui accade di tutto e di più; un racconto ricco di colpi di scena, con sorprese a getto continuo, in una sapiente alternanza di oppressione e riscossa, quest’ultima alimentata a oltranza dall’ardimento dei protagonisti. Manook racconta il genocidio armeno con una tecnica narrativa che ricorda Wilbur Smith, assai più di Franz Werfel o Antonia Arslan.

sabato 23 aprile 2022

Meccanica dello Spirito, di Walther Rathenau (Ed. Aragno)

Qui di seguito, la mia recensione di "Meccanica dello Spirito", di Walther Rathenau (Aragno) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di mercoledì 20 aprile.

 Nel centenario della morte di Walther Rathenau, il ministro degli esteri della Repubblica di Weimar, assassinato a Berlino il 24 giugno 1922 da due fanatici nazionalisti, esce per la prima volta in Italia questo suo trattato filosofico, a cura di Vincenzo Pinto. A dispetto delle circostanze della morte, Rathenau non fu affatto un “politico”, ma molto di più. Fu innanzitutto un grande economista e imprenditore, a capo fra le altre cose del colosso energetico AEG, fondato dal padre; ma fu soprattutto un visionario, un pensatore poliedrico e originalissimo, nel panorama culturale europeo del primo Novecento.

Colto, ricchissimo, di origine ebraica, solo nel 1920 Rathenau aderisce al Partito democratico tedesco; ben prima, alla viglia della guerra, pubblica questo libro, somma delle sue riflessioni filosofiche ed esistenziali.

“La prosa di Rathenau è talora ridondante, ma particolarmente forbita; per certi versi, rappresenta uno strano ircocervo tra un componimento poetico e un saggio scientifico”, scrive Pinto nell’introduzione. Meccanica dello spirito è la storia romanzata e tragica dell’anima, nel corso del cammino umano. Con questo termine (Seele) l’autore intende quella parte dello spirito vivente e presente nel mondo, ciò che permette all’uomo di adempiere alla sua fatica terrena.

La prima sezione del volume (Evoluzione dello spirito vissuto) è dedicata alla nascita del sentimento: “Noi siamo quello che siamo perché custodiamo la memoria dei nostri progenitori”. In questa parte, Rathenau descrive con lo sguardo acuto del moralista lo sfacelo della società di massa di inizio secolo. Nella seconda parte (Evoluzione dello spirito visibile) l’autore manifesta apertamente la sua propensione per un idealismo spiritualistico e visionario. Nel terzo e ultimo capitolo (Evoluzione dello spirito pratico) Rathenau parte dall’etica - “L’unico imperativo categorico ammissibile è: prenditi cura della tua anima” – per poi passare all’estetica, analizzando il sentimento della natura e dell’arte, sua massima espressione. “Solo l’arte germanica è stata in grado di divenire autenticamente personale e trascendente, come dimostrano i suoi quattro ‘evangelisti’ Shakespeare, Rembrandt, Bach e Goethe”.

Una curiosità: il più noto critico del pensiero filosofico di Rathenau fu Robert Musil, che dedicò a Meccanica dello Spirito forse la più importante recensione ricevuta dal libro. Proprio a Rathenau sarebbe ispirato il personaggio di Paul Arnheim, che Musil nel suo capolavoro contrappone a Ulrich, decadente intellettuale razionalista e uomo “senza qualità”.