giovedì 18 febbraio 2021

"Il serpente", di Stig Dagerman (Iperborea)

Qui di seguito, la mia recensione di "Il serpente", di Stig Dagerman (Iperborea) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di ieri. 

Stig Dagerman ha appena ventidue anni, nel 1945, quando dà alle stampe questo suo romanzo d’esordio, che rivela al pubblico svedese un giovane di straordinario talento. La sua tecnica narrativa è forte e originale, la struttura stessa del romanzo è un enigma, ma sono soprattutto la maturità e lo spessore culturale a colpire unanimemente la critica. Non ha affatto esagerato, chi di recente ha accostato Dagerman a Kafka e Camus: la presenza sottotraccia di un serpente, nel corso del racconto, è una potente metafora della paura.

L’anno prima, l’autore ha partecipato alla mobilitazione generale del suo paese, rimasto neutrale nel conflitto ma minacciato dai potenti vicini. I racconti dei camerati, l’assurdità della vita militare, soprattutto l’angoscia per la possibile guerra, ispirano a Dagerman una serie di episodi apparentemente scollegati, carichi di simbolismi, in un clima surreale quasi incomprensibile. La destrutturazione del romanzo, con la frantumazione del tempo narrativo e la non sequenzialità della trama, impegnano il lettore nello sforzo di decifrare, di intuire, financo di immaginare gli avvenimenti. I giovani sotto le armi si esprimono in un linguaggio crudo, volgare, si ubriacano, cercano il sesso facile, attanagliati dal senso di inutilità, dalla malinconia, dal terrore per la guerra incombente.

“Siamo entrati in camerata e ci è venuto incontro quell’odore debolissimo, ma penetrante, di paura. Durante il giorno è così debole che quasi non si nota, noi però ce ne accorgiamo perché ormai annusiamo sempre quando entriamo in quella stanza”.

Attraverso i suoi personaggi, lo spirito anarchico di Dagerman si ribella alla logica dello Stato, il “grande elargitore di sicurezza”. Il dialogo finale fra uno scrittore, un poeta e un critico letterario esplicita ciò che il romanzo ha solo evocato. L’epilogo, purtroppo, è tragicamente profetico.

L’anno seguente, a 23 anni, Dagerman viaggia attraverso le città tedesche rase al suolo dai bombardamenti, come inviato del settimanale Expressen. Ne scaturisce una serie di reportages di grande successo giornalistico, che consacrano definitivamente lo scrittore presso il vasto pubblico; gli articoli saranno poi raccolti in un volume dal titolo “Autunno tedesco” (Iperborea 2018). In seguito, la vita di Stig si complica e si inaridisce: è ipersensibile e infelice, il suo matrimonio fallisce, non riesce più a scrivere. Stig Dagerman muore suicida a 31 anni, nel 1954. Davvero una grande perdita, per la cultura europea.