venerdì 26 aprile 2024

Terra Eolica, di Ilias Venezis (Settecolori)

Qui di seguito, la mia recensione di Terra Eolica, di Ilias Venezis (Ed. Settecolori) apparsa sul quotidiano Il Foglio di mercoledì 24 aprile.

 “Quando si ritirarono le onde dell’Egeo, e presero a sorgere dal fondo le montagne di Lesbo umide, lucenti e placide, le onde videro stupefatte l’isola, la loro nuova amica. Erano abituate a viaggiare dalle parti del mar di Creta e a spegnersi sulla spiagge dell’Anatolia, e quel che sapevano di terraferma non era altro che duri monti, franti enormi scogli, terra di gialla pietra. Questa qui, con la nuova isola, era tutt’altra cosa – oh quanto differente!”.

Terra Eolica è un romanzo meraviglioso, poetico e onirico, sempre sul crinale fra mito arcaico e cronaca di vita quotidiana. E’ la storia di una terra antica e delle sue millenarie vicissitudini umane. Ilias Venezis, uno dei maggiori autori greci del Novecento, lo scrive nel 1943, cioè nel pieno dell’occupazione nazifascista del suo paese: una scelta che gli costa l’arresto, 23 durissimi giorni di carcere, il rischio della fucilazione. In precedenza aveva scritto Il Numero 31328 (Settecolori 2022) in cui aveva raccontato la sua orribile vicenda di prigioniero e schiavo dei turchi, dopo la cacciata dei greci della costa anatolica dalle terre in cui avevano vissuto e prosperato per tre millenni.

“Per ultimi gli uomini, ultimi fra tutte le creature che vivono presso i Kimidenia poiché di tutte essi sono gli estremi, accolgono il messaggio. Giunge con denso fragore il maroso, viaggia, è percosso e si frange, sempre più si gonfia, e sempre più impazza: ‘Arriva! La tempesta è in arrivo! E’ in arrivo la guerra!’ E mentre le stelle sulla Terra Eolica osservano imperturbabili, i cuori degli uomini ammutoliti si aprono perché vi entri la Paura - i cuori degli sventurati uomini”.

Il romanzo racconta la storia di una famiglia benestante e della sua bella azienda agricola, narrata attraverso lo sguardo stupito di un bambino. Il piccolo Pietro scruta con rispetto e ammirazione il nonno patriarca, intuisce il primo amore innocente della sorella maggiore, racconta di cacciatori e contrabbandieri, di briganti e contadini, dell’orsa e dell’aquila. Amore e morte si alternano nelle vicende umane, infine il mondo precipita verso la rovina: le placide famiglie greche stanno per essere spazzate via per sempre dal turbine della storia.

“Cos’è? – Non è niente, dice timorosamente il nonno, come un bambino colpevole. Non è niente. Un po’ di terra è. – Terra ! – Sì, un po’ di terra del loro paese. Per piantarci il basilico, le dice, nel posto straniero in cui vanno. Per ricordare. Lentamente, le dita del vecchio schiudono il fazzoletto dov’è custodito il terreno. Frugano lì dentro, frugano anche le dita della nonna, come ad accarezzarlo. I loro occhi, in lacrime, si fermano lì. – Non è niente, ti dico. Un po’ di terra. – Terra, Terra Eolica, Terra del mio paese”. 

sabato 6 aprile 2024

La grande fortuna, di Olivia Manning (Fazi )

Qui di seguito, la mia recensione di La grande fortuna, di Olivia Manning (Fazi) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di mercoledì 3 aprile.

Scrittrice di successo del secondo Novecento inglese, ma poco nota in Italia, Olivia Manning è celebre soprattutto per due trilogie: la “trilogia balcanica” e la “trilogia del Levante”. La grande fortuna è il primo di questa serie di sei romanzi, di impianto schiettamente autobiografico, uscito nel 1960.

Harriet e Guy, sposi novelli, si trasferiscono in Romania nel corso di un angoscioso 1939. Lui conosce già il paese, in cui insegna inglese; lei invece, con il passare dei giorni, scopre al contempo le bizzarrie danubiane e quelle del marito. Guy è capace di grandi slanci idealistici, di pericolosi eccessi di generosità, ma anche di un’ostinazione invincibile. La sposina fatica a integrarsi e a tenere in equilibrio il rapporto di coppia, circondata com’è da uno stuolo di personaggi eccentrici e pittoreschi, nobili pretenziosi, fannulloni squattrinati, giornalisti pigri e chiacchieroni.

“Certo lei ha sentito la storia del rumeno che passeggia con l’amico tedesco, e gli indica il prezzo di tutte le donne che incontrano. Santi numi, dice il tedesco, ma non ci sono donne oneste da queste parti? Certo, gli risponde il rumeno, ma quelle costano un occhio della testa”.

Alla vigilia della seconda guerra mondiale, la Romania è un paese socialmente fragile, politicamente bloccato, attraversato dalla violenza nazionalista e pervaso da un radicato odio antiebraico. Bucarest è popolata da uno stuolo di contadini affamati e di cenciosi mendicanti. Solo lo spiccato British humour dell’autrice riesce a combinare tragedia e facezia, dando vita a un romanzo perennemente in bilico fra l’incalzare della storia e lo snobismo dei vari personaggi.

“Per Bucarest, la caduta della Francia equivaleva alla caduta della civiltà. Tutti credevano che la Francia fosse la culla della cultura, dell’arte e della moda, delle opinioni liberali e del concetto stesso di libertà (…) La vittoria dei nazisti sarebbe stata la vittoria delle tenebre”.

In questo contesto, Guy decide di allestire uno spettacolo shakespeariano – splendida metafora dell’Europa che si culla nelle proprie illusioni, a fronte della tragedia ormai incombente. Tuttavia egli esclude bruscamente la moglie dalla scena, mortificandola in una mansione marginale.

“Harriet aveva giudicato quella fuga dalla realtà ancor meno giustificabile perché era lui che, nei giorni trascorsi assieme prima della guerra, aveva sostenuto la necessità di una guerra antifascista, una guerra che, Guy lo sapeva, sarebbe calata come una mannaia tra lui e i suoi amici in Inghilterra. Spesso citava i versi di una poesia: ‘E così bevo alla tua salute, prima che il calcio del fucile bussi alla porta’. Beh, il fucile aveva bussato, e Guy dov’era?”.