Qui di seguito, la mia recensione di Il capanno del pastore, di Tim Winton (Fazi) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di mercoledì 17 gennaio.
Tim
Winton, uno dei più importanti e affermati esponenti della letteratura
australiana, offre un romanzo che pare ispirarsi alla grande narrativa
americana del Novecento. Winton ricorda London, Steinbeck, Faulkner, e più di
tutti Salinger. Jaxie, il ragazzo protagonista, presenta infatti molte
caratteristiche comuni al giovane Holden: parla in prima persona, è scurrile e
sgrammaticato, si rivolge ai lettori con arroganza e sarcasmo. Jaxie racconta
con ammirazione di Lee, la fidanzatina che sogna di raggiungere, così come
Holden parlava con orgoglio della sua mitica sorellina Phoebe. Ma l’accostamento
finisce qui. Se quello di Salinger era un romanzo leggiadro, questo è invece un
violento e durissimo dramma, ambientato nella desolata e desertica campagna
australiana.
Il
capanno del pastore è diviso in tre parti. Nella prima, il
giovane protagonista si dà alla fuga, dopo aver trovato il padre, un macellaio
violento e alcolizzato, morto tragicamente nel garage di casa. Con la forza
della disperazione, a piedi, Jaxie ingaggia una lunga ed estenuante lotta per
la sopravvivenza, dormendo sotto le stelle. Nella seconda parte, quasi stremato
da fame e sete, il ragazzo incontra Fintan, l’altro protagonista del romanzo. Costui
è un vecchio solitario e derelitto, mezzo sordo, paterno e indulgente verso le
intemperanze del giovane. Fintan sembra un vecchio innocuo, ma nasconde con
vergogna segreti inconfessabili. Fra i due si stabilisce un rapporto positivo, tratteggiato
con sensibilità, realismo e poesia. Nella terza parte, infine, si svolge il
dramma imprevisto e violento - che non raccontiamo.
Fintan
vive ai bordi di un arido e accecante lago di sale, forte metafora della
condizione umana e della solitudine dell’esistenza. “Da solo laggiù, il riva al
lago, un lago senz’acqua, cercava di arrangiarsi come poteva (…) Senza più
futuro, senza più niente in cui sperare, senza più uno scoglio a cui
aggrapparsi. Non aveva più famiglia né amici. In questo eravamo uguali, io e
lui”.
Il
capanno del pastore è un romanzo di qualità, che può iscritto
a pieno titolo anche nella letteratura di formazione.
“Per la prima volta nella vita so quello che voglio e ho quello che mi serve per prendermelo. Se non avete mai provato questa sensazione, mi dispiace per voi. Ma non è sempre stato così. Ho dovuto attraversare il fuoco per arrivare fino a qui. Ho visto delle cose e ho fatto delle cose e mi hanno fatto delle carognate che non ci credereste nemmeno. Quindi siate felici per me. E non mettetevi sulla mia strada, porca troia”.