venerdì 16 luglio 2021

"Il vino dei morti", di Romain Gary (Neri Pozza)

Qui di seguito, la mia recensione del romanzo "Il vino dei morti", di Romain Gary (Neri Pozza, 187 pagine, 15 euro) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di mercoledì 14 luglio. 

Per tutti i lettori appassionati di Romain Gary, affezionati al percorso biografico di un autore sorprendente come pochi altri, questa sua opera prima è imperdibile: una nuova tessera del complesso mosaico letterario e umano del grande scrittore francese.

Il vino dei morti è un tipico romanzo d’esordio, rimasto inedito fino al 2014, che il giovane Romain scrisse nel 1937, a 23 anni, fra la modesta pensione di Nizza gestita dalla madre e la sua stanzetta parigina di studente universitario. Un frutto sicuramente acerbo, tuttavia già rivelatore di uno stile personalissimo e di uno straordinario talento. L’immaturità dell’aspirante scrittore è compensata da un vocabolario innovativo e ricchissimo, e soprattutto da un’esplosiva immaginazione.

Come una specie di Alice nel paese delle meraviglie, il protagonista Tulipe compie la sua surreale discesa agli inferi, nel sottosuolo di un cimitero. Lo sbalordito ma incuriosito visitatore si aggira timoroso in un’atmosfera macabra e grottesca, la cui aria è resa putrescente e nauseabonda da lamentosi cadaveri in decomposizione. I queruli morti viventi che affollano il romanzo sono poliziotti e prostitute, suore e lenoni, condomini litigiosi ed esattori implacabili. Vermi, topi e scarafaggi si aggirano nei teschi di personaggi stravaganti e bizzarri; come negli incubi, Tulipe inorridisce e fugge, inciampando però in altri personaggi ancora più stomachevoli e ripugnanti, senza riuscire a raggiungere l’uscita.

“Balzò, beccheggiò, si sparpagliò, si raggomitolò, sbavò, sbraitò, scoreggiò, andò a sbattere, vomitò, si toccò, urinò, si srotolò, si riarrotolò, si avviluppò, si contrasse, si mise un dito nell’occhio, nel buco del culo, in bocca, puzzò di merda, di urina, di capra, di latte materno”.

Il vino dei morti è il romanzo enologico della corruzione dei corpi – scrive Riccardo Fedriga nella postfazione - morti viventi che vanno alla ricerca dei loro personaggi vivi (…) morti che paiono gli inquilini bislacchi di un cimitero simile a una casa popolare di Belleville, come quella in cui vive Madame Rosa nella Vita davanti a sé.

“Tutto Ajar è già in Tulipe”, lascerà infatti scritto Gary nelle carte reperite dopo il suicidio, nel 1980, in cui rivelerà il segreto del suo pseudonimo. Come a significare che l’intero percorso era già tutto in nuce nel libro d’esordio.

“…cresceva in lui come un bell’autodafé nel quale si bruciava la miseria, la desolazione, gli sbirri, i rimorsi, l’angoscia e tutte le altre larve e vermi di quell’ignobile piccola puttana sempre più lercia e fetida che chiamiamo anima umana”.