Qui di seguito, l'articolo a mia firma apparso sul quotidiano Il Foglio di ieri, dal titolo "Ispirazione genocida - Così lo sterminio turco degli armeni rese possibile e realizzabile la Shoah. Un saggio".
“Il
genocidio armeno è l’inizio degli orrori del Novecento, e la sua connessione
con la Shoah è ormai indiscutibile”. Così la filosofa americana Siobhan
Nash-Marshall introduce “Giustificare il genocidio”, un libro di grande rilievo
storiografico, che meriterebbe di essere studiato in tutte le università del
mondo. L’autore, Stepan Ihrig, è uno storico tedesco, attualmente direttore del
Centro di studi germanici ed europei di Haifa, Israele. Pubblicato nel 2016
dall’Università di Harvard, il corposo volume (quasi 500 pagine) esce ora in Italia
edito da Guerini, con il sottotitolo “La Germania, gli Armeni e gli Ebrei da
Bismarck a Hitler”.
Solo
se si approfondiscono le lontane origini del nazionalismo tedesco, della sua
malintesa “realpolitik”, del suo disprezzo razziale che accomuna armeni ed ebrei,
si riesce a rintracciare il filo rosso che conduce dai massacri ottomani di
fine Ottocento ai forni di Aushwitz.
Già
nella Germania guglielmina, infatti, Bismarck è il grande protettore del
Sultano, difende a ogni costo il suo operato, tutela l’impero in disfacimento
dagli appetiti delle potenze europee. Quando nel “biennio rosso” 94/96 Abdul
Hamid dà il via ai massacri su larga scala degli armeni, la stampa nazionalista
tedesca tende a occultare e minimizzare, parla di fatti di lieve entità,
scarica le responsabilità sui “predoni curdi”. I morti sono fra i cento e
duecentomila, e proprio l’impunità garantita al sanguinario Sultano indurrà i
suoi successori all’ideazione del progetto genocidario.
Secondo
la propaganda nazionalista e filo-turca, gli armeni sono gli “ebrei d’Oriente”,
anzi “super-ebrei”: gente falsa, infida, mercanti dediti a loschi traffici, allo
sfruttamento e all’usura. Come gli ebrei, anche gli armeni sono gente senza
patria, pronta a tradire. I massacri rappresentano dunque una risposta necessaria,
e pertanto giustificabile, al rischio reale di disfacimento dell’impero.
Allo
scoppio della guerra, il regime dei Giovani Turchi avvia processo di sterminio
e di nuovo la Germania sostiene l’alleato, allineandosi al negazionismo ufficiale.
I massacri avvengono sotto gli occhi dei militari e dei diplomatici tedeschi. Le
“deportazioni” sono lo strumento preordinato, intenzionale e sistematico per la
completa cancellazione del popolo armeno.
La
stampa tedesca – con poche eccezioni - giustifica l’operato dei turchi, accusa
gli armeni di tradimento e di intelligenza con il nemico russo. Non esistono
prove di una corresponsabilità diretta nella decisione di sterminare gli
armeni, ma certo la Germania è “lo spettatore silenzioso, lo scudo protettivo,
il facilitatore degli ottomani”.
Dopo
la guerra, grazie soprattutto agli scritti di Johannes Lepsius e Armin Wegner,
l’opinione pubblica tedesca viene messa al corrente dell’accaduto. Il libro
ricostruisce minuziosamente il processo e l’assoluzione di Soghomon Tehlirian, l’armeno
che ha giustiziato il triumviro Talat Pasha nelle strade di Berlino (1921). La
Germania è scossa. Poiché il genocidio non può più essere negato, la propaganda
nazionalista passa dal negazionismo al giustificazionismo. Agli armeni si
imputa la famigerata “pugnalata alle spalle” - la stessa accusa che sarà poi rivolta
agli ebrei. Di nuovo, si sottolineano le caratteristiche “razziali” degli
armeni, accomunati ai loro “cugini semiti”. Il genocidio è apertamente
riconosciuto come atto di “legittima difesa”, preparando il terreno per la
Shoah.
Hitler
detesta gli armeni quasi quanto gli ebrei, ammira svisceratamente Kemal Ataturk,
afferma e scrive in varie circostanze - qui rigorosamente documentate - di
ispirarsi alla “soluzione turca”. Il rapporto fra nazionalismo turco e nazismo
tedesco è di centrale importanza, dal punto di vista ideologico, e questo
collegamento viene analizzato in dettaglio nel corso del volume.
“Come
questo libro ha dimostrato – scrive Ihrig nelle conclusioni – il genocidio
armeno deve aver insegnato ai nazisti che crimini così incredibili potevano
restare impuniti (...) Il fatto che si potesse ‘farla franca’ deve avere
costituito un precedente di grande ispirazione (…) Il genocidio armeno aveva
reso il genocidio pensabile e, a quanto pare, giustificabile”.
Franz Werfel termina il suo romanzo in tutta fretta, fra il ’32 e il ’33, nel tentativo di metter in guardia il popolo tedesco, ma ormai è troppo tardi: i nazisti sono al potere e il libro finisce al rogo. I quaranta giorni del Mussa Dagh sarà però di ispirazione per gli ebrei e per la loro disperata resistenza, nei ghetti di tutta Europa.