Qui di seguito, la mia recensione di "Il serpente", di Stig Dagerman (Iperborea) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di ieri.
Stig
Dagerman ha appena ventidue anni, nel 1945, quando dà alle stampe questo suo
romanzo d’esordio, che rivela al pubblico svedese un giovane di straordinario
talento. La sua tecnica narrativa è forte e originale, la struttura stessa del
romanzo è un enigma, ma sono soprattutto la maturità e lo spessore culturale a
colpire unanimemente la critica. Non ha affatto esagerato, chi di recente ha
accostato Dagerman a Kafka e Camus: la presenza sottotraccia di un serpente, nel
corso del racconto, è una potente metafora della paura.
L’anno
prima, l’autore ha partecipato alla mobilitazione generale del suo paese,
rimasto neutrale nel conflitto ma minacciato dai potenti vicini. I racconti dei
camerati, l’assurdità della vita militare, soprattutto l’angoscia per la possibile
guerra, ispirano a Dagerman una serie di episodi apparentemente scollegati, carichi
di simbolismi, in un clima surreale quasi incomprensibile. La destrutturazione
del romanzo, con la frantumazione del tempo narrativo e la non sequenzialità
della trama, impegnano il lettore nello sforzo di decifrare, di intuire, financo
di immaginare gli avvenimenti. I giovani sotto le armi si esprimono in un
linguaggio crudo, volgare, si ubriacano, cercano il sesso facile, attanagliati
dal senso di inutilità, dalla malinconia, dal terrore per la guerra incombente.
“Siamo
entrati in camerata e ci è venuto incontro quell’odore debolissimo, ma
penetrante, di paura. Durante il giorno è così debole che quasi non si nota,
noi però ce ne accorgiamo perché ormai annusiamo sempre quando entriamo in
quella stanza”.
Attraverso
i suoi personaggi, lo spirito anarchico di Dagerman si ribella alla logica
dello Stato, il “grande elargitore di sicurezza”. Il dialogo finale fra uno
scrittore, un poeta e un critico letterario esplicita ciò che il romanzo ha solo
evocato. L’epilogo, purtroppo, è tragicamente profetico.
L’anno seguente, a 23 anni, Dagerman viaggia attraverso le città tedesche rase al suolo dai bombardamenti, come inviato del settimanale Expressen. Ne scaturisce una serie di reportages di grande successo giornalistico, che consacrano definitivamente lo scrittore presso il vasto pubblico; gli articoli saranno poi raccolti in un volume dal titolo “Autunno tedesco” (Iperborea 2018). In seguito, la vita di Stig si complica e si inaridisce: è ipersensibile e infelice, il suo matrimonio fallisce, non riesce più a scrivere. Stig Dagerman muore suicida a 31 anni, nel 1954. Davvero una grande perdita, per la cultura europea.
sembra un libro molto bello... mi sembra che a te piacciano gli "spiriti" anarchici. Peccato che sia morto giovane.
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