Qui di seguito, la mia recensione di "Meccanica dello Spirito", di Walther Rathenau (Aragno) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di mercoledì 20 aprile.
Nel centenario della morte di Walther Rathenau, il ministro degli esteri della Repubblica di Weimar, assassinato a Berlino il 24 giugno 1922 da due fanatici nazionalisti, esce per la prima volta in Italia questo suo trattato filosofico, a cura di Vincenzo Pinto. A dispetto delle circostanze della morte, Rathenau non fu affatto un “politico”, ma molto di più. Fu innanzitutto un grande economista e imprenditore, a capo fra le altre cose del colosso energetico AEG, fondato dal padre; ma fu soprattutto un visionario, un pensatore poliedrico e originalissimo, nel panorama culturale europeo del primo Novecento.
Colto,
ricchissimo, di origine ebraica, solo nel 1920 Rathenau aderisce al Partito
democratico tedesco; ben prima, alla viglia della guerra, pubblica questo
libro, somma delle sue riflessioni filosofiche ed esistenziali.
“La
prosa di Rathenau è talora ridondante, ma particolarmente forbita; per certi
versi, rappresenta uno strano ircocervo tra un componimento poetico e un saggio
scientifico”, scrive Pinto nell’introduzione. Meccanica dello spirito è
la storia romanzata e tragica dell’anima, nel corso del cammino umano. Con
questo termine (Seele) l’autore intende quella parte dello spirito
vivente e presente nel mondo, ciò che permette all’uomo di adempiere alla sua
fatica terrena.
La
prima sezione del volume (Evoluzione dello spirito vissuto) è dedicata alla nascita
del sentimento: “Noi siamo quello che siamo perché custodiamo la memoria dei
nostri progenitori”. In questa parte, Rathenau descrive con lo sguardo acuto
del moralista lo sfacelo della società di massa di inizio secolo. Nella seconda
parte (Evoluzione dello spirito visibile) l’autore manifesta apertamente la sua
propensione per un idealismo spiritualistico e visionario. Nel terzo e ultimo capitolo
(Evoluzione dello spirito pratico) Rathenau parte dall’etica - “L’unico
imperativo categorico ammissibile è: prenditi cura della tua anima” – per poi
passare all’estetica, analizzando il sentimento della natura e dell’arte, sua
massima espressione. “Solo l’arte germanica è stata in grado di divenire
autenticamente personale e trascendente, come dimostrano i suoi quattro
‘evangelisti’ Shakespeare, Rembrandt, Bach e Goethe”.
Una
curiosità: il più noto critico del pensiero filosofico di Rathenau fu Robert
Musil, che dedicò a Meccanica dello Spirito forse la più importante
recensione ricevuta dal libro. Proprio a Rathenau sarebbe ispirato il
personaggio di Paul Arnheim, che Musil nel suo capolavoro contrappone a Ulrich,
decadente intellettuale razionalista e uomo “senza qualità”.
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