Qui di seguito, la mia recensione di "Israele. Una storia in 10 quadri", di Claudio Vercelli (Laterza) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di sabato 21 maggio.
“Questo
libro non è una storia dello Stato di Israele”, scrive l’autore alla prima
riga. Claudio Vercelli, di storie di Israele, ne ha già scritte almeno un paio,
più altri saggi su genocidio, negazionismo, neo-fascismo eccetera, tutti caratterizzati
da grande spessore intellettuale e rigore storiografico.
In
questi “dieci quadri”, diversamente, Vercelli condensa l’insieme delle controversie
– storiche, religiose, politiche, semantiche – che ruotano intorno al sionismo,
con le tante sfaccettature relative all’origine, allo sviluppo e alla vita
dello Stato di Israele.
Per
cominciare: Stato degli ebrei o Stato ebraico? La nascita di Israele è il
prodotto del “sionismo politico”, che si differisce nettamente dall’antico
sionismo religioso e messianico, al quale pure è intrecciato. Di conseguenza, il
popolo israeliano non è il “Popolo d’Israele” della tradizione biblica:
quest’ultimo mantiene le sue radici in un passato millenario, mentre il primo
si riconosce nelle istituzioni politiche nate nel 1948, e guarda avanti, al
futuro della nazione. Nella visione di Herzl, lo Stato degli ebrei potrà
esistere solo se sarà moderno, laico, occidentale.
Inoltre,
“non esiste nessun eccezionalismo ebraico”, sottolinea l’autore. Per contro,
esiste (eccome!) un eccezionalismo opposto: quello con cui cristiani e
musulmani hanno sempre trattato la cosiddetta “questione ebraica” nel corso dei
secoli; esiste cioè “il predominio e la persistenza di un tratto profondo,
archetipico, ineludibile, in ragione del quale è lecito dubitare
dell’appartenenza degli ebrei all’umanità”. Secondo questa visione, gli ebrei sarebbero
caratterizzati da “una diversa natura di fondo, che riguarda la loro essenza
stessa, connotata da una perfidia e malvagità insuperabili”, concezioni che,
nel corso della storia, hanno prodotto via via l’antigiudaismo cristiano, l’antisemitismo razziale
dell’8-900, e oggi l’antisionismo denigratorio nei confronti di Israele.
Proprio al nesso fra antisemitismo e antisionismo, “Il ramo storto
dell’umanità”, è dedicata la parte finale del volume.
Uno
spazio particolare è riservato alla controversa figura di Vladimir Jabotinsky, autore
del contestato e profetico saggio “Il muro di ferro” (1923) e leader carismatico
della destra nazionalista. Questa componente, messa ai margini da Ben Gurion
per quasi un trentennio, sale al potere nel ’77, segnando un cambio di
paradigma che in seguito troverà un ulteriore sviluppo nella leadership di Bibi
Netaniahu, destinato a guidare il governo di Israele per oltre quindici anni.
Oggi Israele è una realtà in cui vivono 9,3 milioni di abitanti, circa metà dei quali “laici” (di questi, il 40 si professa non credente). Su 10.000 lavoratori, 140 sono ingegneri (in Usa 70, nella Ue 50, nei paesi arabi 5). Il suo governo investe in ricerca e sviluppo il 5% del Pil, contro il 2,5 degli Stati Uniti e il misero 0,9 dell’Italia.
Interessante il tuo riferimento a Vladimir Jabotinsky, che fondò l'Irgun (se non sbaglio). Le elezioni del 1977 furono importanti, perchè segnarono un cambiamento nella politica israeliana con l'arrivo di Begin. Questo libro comunque non l'ho ancora letto.
RispondiElimina