Qui di seguito, la mia recensione di "L'amico armeno", di Andrei Makine (La nave di Teseo) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di ieri.
“Lasciammo
il cubo. Fuori, un sole basso e rosso ci accecò. Prima di scendere la scarpata
coperta di rovi e di fili spinati, Sarven commentò con tristezza: Sai, da noi
c’è un proverbio che dice: ‘Provando vergogna per ciò che vede durante il
giorno, il sole tramonta arrossendo’. Sarebbe bene che gli uomini facessero
altrettanto”.
In
un’epoca in cui la letteratura è investita da un generale processo di standardizzazione,
è doveroso riconoscere e segnalare i rari libri di alta qualità, capaci di
lasciare un segno e di suscitare un’emozione autentica nell’animo del lettore. A
questa gamma appartiene L’amico armeno, romanzo breve, intenso e
toccante di Andreï Makine, scrittore nato nel ’57 in Siberia e naturalizzato
francese, membro dell’Académie Française dal 2016.
Il
romanzo – ispirato a un episodio dell’adolescenza dell’autore - è ambientato a
Irkutsk, sulle rive del fiume Ienissei, in epoca tardo-sovietica. Qui, in un
ambiente ostile e oppressivo, vive un piccolo gruppo di armeni, appena una
decina, fra cui il giovane Vardan, il protagonista del libro, coetaneo dell’io
narrante. Fra i due ragazzi si stabilisce un’amicizia strana, un rapporto
sbilanciato, dominato dalla personalità enigmatica e introversa dell’armeno,
che affascina l’amico con osservazioni spiazzanti e comportamenti imprevedibili.
Assai più di un compagno di scuola, Vardan si rivela un maestro e una guida,
nella vita squallida e livida della provincia siberiana.
Accanto
a Vardan, spiccano altre figure della piccola comunità armena, in particolare
due donne, la madre e la sorella del ragazzo. Quest’ultima ogni giorno si reca
in carcere a trovare il marito, detenuto con un gruppo di indipendentisti
armeni, in attesa di un processo politico il cui esito angoscia la piccola e
dignitosa comunità.
Da
Vardan il giovane narratore viene a conoscenza degli orrori e dello sterminio
patiti dal popolo armeno. “Loro non hanno avuto l’aiuto di alcun dio. Nessuna
divinità che abbia lanciato un grido. No, nessuno. Come se l’intero universo
avesse taciuto”.
Vardan
è segnato da una malattia rara, ma a scuola persino i bulli si abituano a non
tormentarlo; l’armeno, piccolo e malaticcio, sorprende coetanei e insegnanti con
una sensibilità superiore, un’irriducibile diversità e per la capacità di interpretare
l’esistente sempre da un punto di vista eccentrico.
“Così, i folli e i poeti sfuggono talvolta alla rete di questa esistenza comune, legittimata dalle nostre abitudini, dalle nostre paure, dalla nostra incapacità di amare”.
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