Qui di seguito, la mia recensione di "La Storia non è finita - Dalle origini del capitalismo alle varianti occidentale e orientale", di Giorgio Arfaras (Guerini & Associati) apparsa sul quotidiano Il Foglio di mercoledì 22 settembre.
Corre “Dalle origini del capitalismo alle varianti occidentale e orientale”, il nuovo brillante pamphlet di Giorgio Arfaras, un rapido e piacevole excursus di storia economica, dall’alba dei tempi alla più stretta attualità mondiale e italiana. Le analisi macro-economiche dell’autore sono spesso accompagnate da considerazioni mai banali di ordine filosofico, sociologico, politico, a volte anche morale.
Esistono
dal XX secolo cinque tipi di capitalismo, sostiene Arfaras. Il primo,
“interventista”, va dalla grande crisi degli anni Trenta al secondo dopoguerra,
fino agli anni Settanta; il secondo, “neoliberale”, dagli anni Ottanta alla
crisi del 2008; il terzo, “ibrido”, nato proprio da quella crisi, si è definito
più compiutamente con l’arrivo del Coronavirus; poi esiste il capitalismo
“politico” cinese (cioè sviluppo economico occidentale e dittatura imperiale del
Partito); e infine quello dei paesi in via di sviluppo, chiamato “dei compari”,
che presenta alcuni tratti – quelli legati alla rendita – comuni ai paesi
occidentali avanzati.
Le
diseguaglianze si possono ridurre, ma è sbagliato pensare di poterle eliminare completamente.
La maggioranza degli osservatori imputa la crisi al “liberismo selvaggio” e
alla globalizzazione, una minoranza pensa invece che questi due fattori abbiano
portato al centro della società le persone ad alto livello di istruzione. Questi
fautori della “teoria della conoscenza”, possono convenire con gli altri sulla
utilità di ridurre le diseguaglianze, non per ragioni di equità, ma di
opportunità. “Il perno è la mobilità sociale – spiega Arfaras – L’idea è che la
mobilità sociale, stabilizzando la classe media moderna, che sta crescendo
nell’economia della conoscenza, trascini un maggior egualitarismo”.
Nel
libro non mancano le battute sferzanti. Perché piacciono i complotti? Perché
non siamo capaci di accettare i movimenti casuali: “Nella mente del
complottista, l’ordinamento ‘spontaneo’ non ha udienza”. Quanto all’Italia, è
“ovvio” rimanere nell’euro, incentivare la concorrenza e investire nelle
infrastrutture; “non è così ovvio” che il mercato debba essere ancora più
flessibile e che servano molti emigranti da integrare.
Dopo il Coronavirus, un campanello d’allarme: “Si hanno due importanti nodi. I problemi sociali, legati alle diseguaglianze di opportunità che si potrebbero manifestare. E il maggior ruolo dello Stato che potrebbe aversi anche qualora la crisi finisse. Nella storia, a un grande intervento dello Stato non è mai seguito un suo subitaneo ritiro”.
interessante, andrò a cercarlo. l'autore non si occupa, nel libro, anche del populismo?
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