Qui di seguito, la mia recensione di Ungenach, di Thomas Bernhard (Adelphi), apparsa sul quotidiano Il Foglio di mercoledì 25 agosto.
Alla morte del tutore, Robert torna dall’America e decide di disfarsi di Ungenach, un’immensa proprietà in Austria, disperdendola ai quattro venti attraverso una trentina di donazioni. Invece di recarsi al funerale, Robert studia le lettere e le carte lasciate dal fratello Karl, morto assassinato in Africa, e si intrattiene con il notaio Moro, in un incontro a metà fra il benevolo tono familiare e il noioso rigore professionale.
La
trama del breve romanzo è tutta qui. Dal punto di vista strettamente narrativo,
non c’è altro, perché Thomas Bernhard non ha mai amato le storie. “Io sono un
distruttore di storie”, disse di sé una volta lo scrittore austriaco, nel
descrivere le caratteristiche della sua opera letteraria.
Come
Amras, come Stilfs, - altre ambientazioni tipiche di racconti bernhardiani - anche
Ungenach è un “non luogo”, un’eredità familiare carica di simboli negativi,
ricordi angosciosi, un focolaio di insuperabili nevrosi. Ungenach è descritta
come “completamente deserta”, “un peso spaventoso e nient’altro”. In generale,
dal dialogo fra Robert e il notaio emerge che la vita non è che “pura follia”,
in cui “noi camminiamo per lunghi periodi senza testa”. Di conseguenza “tutto
mira all’annientamento e tutto merita di essere annientato”: la stessa Ungenach
in primo luogo.
Nella
surreale conversazione – una messinscena perfetta del teatro dell’assurdo – il
notaio continua a ripetere: “Ma torniamo ai fatti”, nel vano tentativo di
interrompere il proprio soliloquio nevrotico e divagante. Apparentemente egli
sembra rivolgersi a Robert, ma in realtà vaneggia, poiché “certi giorni
diventiamo consapevoli dell’insopportabile, allora improvvisiamo, ci
paralizziamo”, mentre le contraddizioni sono “un incesto perpetrato nel
cervello”.
La
cupio dissolvi di Robert è ovviamente stigmatizzata dall’uomo di legge, che
giudica la donazione “un elemento rivoluzionario, cioè sconvolgente e
distruttivo”: una ricchezza spropositata viene conferita a una pletora
personaggi mediocri o infimi, alcuni dei quali detenuti nelle galere austriache.
Nei romanzi di Bernhard, la natura è infame, l’uomo è un fantasma, l’esistenza
è sempre qualcosa di estremo e il male di esistere è “una fatica da
megalomani”. Noi percorriamo la vita portando sulle nostre spalle tutta una
storia perversa.
“Sempre
più intollerabile per noi è il mondo. – legge Robert nelle carte lasciate dal
fratello Karl - Se sopportiamo l’intollerabile è per l’attitudine di ciascuno
di noi a tormentarsi e a soffrire per tutta la vita”.
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