Qui di seguito la mia recensione di "Il mio grande, bellissimo odio", di Elisabeth Asbrink (Iperborea) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di mercoledì 16 aprile.
L’odio
a cui fa riferimento la scrittrice svedese Victoria Benedictsson (1850-1888) è un
sentimento misto di “rabbia” e “indignazione”, che la spinge a ribellarsi alla
sua condizione di donna, predestinata a una vita squallida e sottomessa, nella Scandinavia
protestante della seconda metà dell’800.
Grazie
alla sensibilità di Elisabeth Asbrink, scopriamo l’esistenza breve e tormentata di
un’autrice oggetto di studio e di culto nel suo paese, ma mai pubblicata in
Italia.
La
vita sofferta della Benedictsson, assai più delle sue opere, è al centro
dell’indagine psicologica dell’autrice, che si concentra sulle origini,
l’infelice matrimonio, la lotta per l’emancipazione e la fuga dall’ambiente
desolato in cui è rinchiusa la donna, fino al tragico suicidio, a soli 38 anni,
a Copenhagen.
Dopo
averle impedito di proseguire negli studi, il padre la manda in sposa troppo
giovane a un uomo troppo vecchio, un vedovo modesto e sgradevole, padre di
numerosi figli. Un’imposizione che si rivelerà catastrofica e che lascerà
un’impronta negativa indelebile nell’esistenza della donna. Presto incinta,
Victoria si rivelerà una cattiva madre e, alla seconda gravidanza, sarà capace
di peccati tormentosi e inconfessabili.
Asbrink
ricostruisce, passo dopo passo, i faticosi tentativi di uscita di Benedictsson
dalla sua disperante condizione di donna di provincia. Victoria scrive con abnegazione,
manda i suoi racconti alle riviste letterarie e ai giornali. Riesce a farsi
pubblicare solo ricorrendo - come altre importanti scrittrici dell’800 - a uno
pseudonimo maschile. Infine, ecco giungere il riconoscimento del suo talento e
il successo.
Centrale,
nella vita della scrittrice, è l’incontro con Georg Brandes, autore, critico
letterario, brillante conferenziere e polemista. Victoria lo ammira, se ne
invaghisce, cerca per suo tramite di accedere alla borghesia colta e benestante
di Copenhagen. Ma la sessualità di lei è ormai appassita e l’interesse del
donnaiolo Brandes sfuma rapidamente. Siamo all’epoca di Ibsen e di Nietzsche,
temi moralmente scottanti quali femminismo, sessualità, matrimonio, voto alle
donne, prostituzione sono al centro di un infuocato dibattito pubblico.
La
scrittrice è ormai affermata e apprezzata, ma ciò non le garantisce l’autonomia
finanziaria, né placa la sua insicurezza interiore e la depressione
autodistruttiva.
“Victoria Benedictsson si vergogna profondamente (…) sprofonda nell’umiliazione e nell’angoscia. Al termine della lettura, dice di voler morire. Ci sono tre cose stupide da cui bisogna stare alla larga, risponde Brandes. La rassegnazione, l’ottundimento – vale a dire bere per sedarsi – e il suicidio. Lui conosce la tentazione di ottundersi. Benedictsson risponde di preferire il suicido”.
Ho letto "Madame Bovary", mi è piaciuto molto. Mi consigli questo?
RispondiEliminaAnch'io ho molto amato Madame Bovary, che lessi anche in francese ai tempi dell'università. Questo libro è tutt'altra cosa: quello è un romanzo, questa una biografia. I libri della Benedictsson non sono mai stati pubblicati in Italia, non li conosco. Vedremo in futuro se Iperborea potrà colmare questa lacuna. Certo dev'essere una lettura molto impegnativa, dunque si tratta di un'operazione editoriale non facile.
RispondiElimina