Qui di seguito, la mia recensione di "Non ti scordar di me. Storia e oblio del Genocidio Armeno", di Vittorio Robiati Bendaud (Liberilibri) pubblicata in seconda pagina del quotidiano Il Foglio di venerdì 25 aprile.
Il
genocidio armeno e quello ebraico sono strettamente interconnessi: quanto più
si risale alle origini dell’uno, tanto più si trovano elementi comuni con l’altro.
Con un approccio particolare e originale, Vittorio Robiati Bendaud offre una interpretazione
“religiosa” di entrambe le grandi tragedie del Novecento.
“Non
ti scordar di me. Storia e oblio del genocidio armeno” (Liberilibri, 180
pagine,18 euro) è un saggio di carattere “pionieristico”, scrive Antonia Arslan
nella postfazione; possiede cioè un carattere “inedito”, e forse offre “la
giusta chiave per lucchetti che attendevano di essere aperti”.
Anche
se Metz Yeghern (il “Grande Male”, così gli armeni chiamano la
cancellazione del loro popolo) è stato realizzato dal nazionalismo laico dei
Giovani Turchi e poi ultimato da Ataturk, le sue radici lontane affondano
nell’istituto islamico della dhimma, lo status di sottomissione cui gli
armeni (come gli ebrei e altre minoranze cristiane) erano sottoposti da secoli
nell’ambito dell’impero ottomano.
“Solo
l’archetipo misogino – scrive Bendaud –
basato sulla subalternità della donna dominata al maschio dominante,
spiega e rende tristemente ben evidente nel sistema politico-religioso della dhimma
il significato di parole quali protezione, fedeltà, infedeltà, ribellione,
arroganza, nonché l’unilateralità assoluta di tali giudizi”.
Analogamente,
la Shoah avviene fattualmente per mano dei nazisti, ma scaturisce dalla
sedimentazione di un substrato plurisecolare di antigiudaismo cristiano.
Centrali,
nell’analisi di Bendaud, sono gli studi dello storico tedesco Stefan Ihrig e
della filosofa cattolica americana Siobhan Nash-Marshall. Entrambi mettono in
rilievo come l’anti-armenismo tedesco, di impronta schiettamente razzista,
abbia preparato il terreno per l’odio antiebraico del nazismo. I grandi
massacri degli armeni a fine Ottocento sono l’avvio del processo genocidario, e
possono contare sulla piena copertura ideologica e politica della Germania
guglielmina. Nel 1898 il Kaiser Guglielmo II si proclama a Damasco “amico dei musulmani di tutto il mondo”, mentre gli
intellettuali del Reich definiscono gli armeni “razza astuta e sediziosa” e
propongono lo stereotipo dell’ “usuraio armeno”, fino alla definizione degli
armeni come “super-ebrei”: un accostamento che ispirerà Adolf Hitler, anch’egli
alla ricerca – come la nuova Turchia – di uno “spazio vitale” per il popolo
tedesco e di una “soluzione finale” per una minoranza mostrificata.
Il saggio si conclude con riferimenti di strettissima attualità: “E’ individuabile un fil rouge nel modus operandi del dispotismo islamico – da Abdul Hamid II al contemporaneo Ilham Aliyev, dai Fratelli Musulmani a Hamas, dal tardo Ottocento ai giorni nostri (…): si tratta del ribaltamento della realtà e della sua mistificazione, raggiungendo livelli paradossali di menzogna”. E ancora: “L’indipendenza di questo antico popolo cristiano risulta insopportabile (…) Una situazione non dissimile da quanto accade a Israele: minuscolo nei fatti, ma enorme nell’ossessione di una soverchiante maggioranza arabo-islamica che si estende, sovrana e indiscussa, su territori immensi”.
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