Qui di seguito, la mia recensione di "L'Armenia perduta", di Aldo Ferrari (Salerno Editrice) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di sabato 24 aprile, nella ricorrenza del genocidio del popolo armeno.
Nel
tentativo di opporsi alla cancellazione di ogni residua memoria dell’esistenza
degli armeni, Aldo Ferrari intraprende un lungo viaggio nei luoghi dell’Armenia
storica, cioè nei territori orientali della penisola anatolica: montagne, valli
e città dai quali uno dei popoli più antichi della terra è stato spazzato via
brutalmente, in un genocidio prima sanguinario poi culturale.
“Numerosissime
testimonianze archeologiche, architettoniche e artistiche di una presenza quasi
trimillenaria sono state impietosamente distrutte, destinate ad altri usi
(moschee, musei, prigioni eccetera) oppure salvaguardate, ma tacendone
l’origine armena - scrive Ferrari - Secondo dati Unesco del 1974, dei 914
monumenti storici armeni sopravvissuti al genocidio, 464 sono stati
completamente distrutti, 253 sono in rovina e 197 richiedono urgenti opere di
restauro. Oggi, fatta eccezione per la città di Istanbul, in Turchia esistono 6
chiese armene ancora in funzione, nessun monastero e nessuna scuola”.
L’autore,
docente di lingua e letteratura armena a Ca’ Foscari, focalizza in cinque
capitoli il suo percorso ricostruttivo, dedicati a cinque luoghi-simbolo di una
storia antichissima.
Il
primo capitolo è dedicato al monte Ararat (oggi in Turchia) da sempre sacro agli
armeni, sul quale, - è scritto nella Bibbia - si arenò l’Arca di Noè al termine
del diluvio universale. Il secondo capitolo racconta dell’epica battaglia perduta
di Avarayr. Il 2 giugno del 451 d.C. gli armeni furono sconfitti dai Persiani,
che volevano convertirli allo zoroastrismo, tuttavia trent’anni più tardi
ottennero la libertà di culto: un episodio decisivo, nella costruzione e
conservazione di un’autocoscienza nazionale.
Il
terzo capitolo è incentrato sulla città di Van, e sul suo grande, bellissimo
lago con l’incantevole isola di Akhtamar. Qui, nell’aprile/maggio del 1915, ebbe
luogo un disperato tentativo di resistenza armena allo sterminio (episodio meno
noto, rispetto al più celebre di Moussa Dagh) fino all’arrivo delle truppe
russe. Gli ultimi due capitoli sono dedicati alle antiche capitali di Ani, che segnò
il ritorno all’indipendenza degli armeni nel corso del medioevo, e Kars,
quest’ultima descritta nel celebre romanzo “Neve”, di Orhan Pamuk.
E’ stato per precisa scelta e responsabilità delle potenze europee, soprattutto di britannici e tedeschi, osserva Ferrari, se la Russia non ha potuto liberare l’Armenia dal dominio turco, nel corso dell’800. L’impero ottomano uscirà poi sconfitto nel primo conflitto mondiale, ma per gli armeni sarà troppo tardi. I paesi vincitori li lasceranno alla merce degli sterminatori, la Russia sovietica non faticherà ad accordarsi con Ataturk per la definitiva spartizione. La sistematica eliminazione di ogni traccia dell’esistenza degli armeni è stata “scientifica e accuratissima”, osserva amaramente Antonia Arslan nella prefazione; di conseguenza, “la terra che fu loro è perduta per sempre”.
questo libro è davvero bello! come hai fatto a trovarlo?
RispondiEliminaIeri sera ho provato a telefonarti. Ciao