Qui di seguito, la mia recensione di "Il manifesto del rinoceronte - L'avventura del liberalismo", di Adam Gopnik (Guanda, 276 pagine, 20 euro) pubblicata su Il Foglio del 2 settembre scorso. L'articolo non appare nell'edizione on line del quotidiano.
Che
cos’è il liberalismo? Da una sponda all’altra dell’Atlantico, le parole
ingannano. Adam Gopnik, giornalista e saggista di grande popolarità,
editorialista del New Yorker, è il più classico prototipo dell’intellettuale
liberale americano. La sera dell’elezione di Donald Trump, nel novembre del
2016, egli intrattiene un tenero colloquio per rincuorare la figlia Olivia,
diciassettenne ribelle piena di idealistico ardore. Gopnik si rende conto che
il liberalismo offre scarso appeal agli occhi di un giovane, rispetto alle
utopie dei visionari e alle critiche dei radicali. Perciò azzarda che il
liberalismo si presenti sotto le sembianze di un rinoceronte: un animale all’apparenza
tozzo, sgraziato, lento e pesante. Eppure il rinoceronte è anche un bestione
simpatico, non aggressivo, meritevole di protezione, capace di grande forza e
determinazione.
Proprio
davanti alla gabbia di un rinoceronte, nella Londra dell’800, si incontravano
clandestinamente due amanti d’eccezione: John Stuart Mill, filosofo liberale
per eccellenza, e la sua adorata Harriet Taylor, antesignana del femminismo e
del diritto di voto alle donne. Il liberalismo nasce così, dai sentimenti di
simpatia, gentilezza, amore e compassione di esseri umani forti e miti. Accanto
a costoro, Gopnik colloca Adam Smith, naturalmente, e prima ancora Montaigne; poi
cita un’altra formidabile coppia di “libertini”: George Lewes e Mary Ann Evans,
la scrittrice nota con lo pseudonimo di George Eliot; e moltissimi altri, per
lo più di matrice anglo-sassone.
Il
liberalismo sostiene la necessità di una riforma sociale, ma sempre imperfetta,
e di una sempre maggiore tolleranza, ma non assoluta: per quella imperfezione
non piace alla sinistra, per questa tolleranza non piace alla destra. “Da
destra come da sinistra, le argomentazioni persuasive contro il liberalismo non
mancano davvero”, ammette Gopnik. Per i conservatori, ad esempio, le società
aperte sono troppo disordinate e pericolose. La corrente irrazionalistica e
antiliberale attraversa tutto il Novecento, fino a pensatori e filosofi
contemporanei come Patrick Deneen e Aleksandr Dugin, quest’ultimo noto come il
“cervello di Putin”.
Sul
fronte opposto, merita attenzione, per la sua stringente attualità, la nuova
teoria cosiddetta “intersezionalista” (la coalizione di donne, neri, gay,
latinos ecc.) vero e proprio surrogato ideologico dell’internazionalismo
proletario di matrice marxista. Si tratta del tentativo, pericolosamente
ambizioso, di offrire una teoria di campo unificata all’opposizione culturale
ed economica radicale dell’Occidente. Secondo Gopnik, nel ventunesimo secolo
esiste una tragica, duplice amnesia: “la destra tende ad agire come se
l’Ottocento non fosse mai esistito, mentre la sinistra fa lo stesso con il
Novecento”. Tuttavia “l’ingiustizia economica è indubbiamente emendabile nel
contesto dell’ordine liberale”, è la conclusione dell’autore.
Insomma, il liberalismo non possiede il fascino esaltante delle grandi utopie, conta molti e mortali nemici, ma mantiene un quid incontestabile di superiorità morale. Basterà?
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