Il titolo non tragga in inganno: il romanzo del 1910 di Gaston Leorux,
da cui sono poi derivate un centinaio di versioni teatrali e cinematografiche, non
c’entra affatto. Il “fantasma” di cui si parla qui, e che rischia una malinconica
scomparsa, è tutto il Teatro d’Opera, sublime punto d’incontro di note e
parole, cioè di musica, canto, poesia e recitazione, l’espressione più alta e
bella della cultura occidentale.
Il sottotitolo “Sognando una filosofia”, semmai, è il vero fulcro del
saggio – e della vita dell’autore. Nato a Gorizia nel 1935, musicologo,
germanista, antichista, dantista, autore e traduttore, poeta e scrittore, Quirino
Principe è un erudito fra i più colti d’Italia. Filosofo eccentrico e polemista
luciferino, egli scrive in 360 pagine il suo personale “manifesto”, a bilancio
di un’intera esistenza spesa a studiare, ricercare, insegnare e divulgare un
sapere immenso. Principe affascina il lettore, lo cattura con riferimenti di
straordinaria raffinatezza e poi lo sommerge con una miriade di citazioni.
“La mia semplice e immediatamente riconoscibile distinzione è tra
musica forte e musica debole, secondo un ordine di significati analogo a quello
che ci induce a parlare, in termini filosofici, di pensiero forte e pensiero
debole”. La musica forte suscita emozioni, brividi, lacrime agli occhi, rapimenti
estatici, mentre il rap, il rock e la disco-music non sono che espressioni di
ripetitiva monotonia. La musica è “energia cosmica per eccellenza, misterioso e
vibrante logos matematico”. Teatro e musica sono stretti in un nodo d’amore:
un’idea irrinunciabile, scrive l’autore, citando L’Amour et L’Occident di Denis
de Rougement. “Il Teatro d’Opera è una creazione dell’Occidente, di un
Occidente ardito e laico”.
Per questi motivi, la scomparsa della cultura musicale diffusa è una
tragedia italiana, ammonisce Principe, che si scaglia con veemenza contro i
suoi nemici di sempre: la Chiesa cattolica (“la vera, grande nemica della
cultura d’Occidente”) e lo Stato, nelle sue varie articolazioni: la politica
ignorante, la magistratura vile e corriva, la scuola in stato d’abbandono, la
stolida burocrazia. Per non parlare del fondamentalismo islamico, ovviamente,
per cui la musica occidentale è “haram”.
“La musica, il teatro, il teatro musicale, il teatro d’opera sono oggi
più che mai le vittime sacrificali di un coacervo di poteri ottusi e arroganti,
rozzi e analfabeti, statali ed ecclesiastici: la ‘puttana sciolta’
dell’allegoria dantesca si è strettamente impadronita degli ‘instrumenta
regni’. Di conseguenza una battaglia per la musica è la prima fra quelle che
dobbiamo combattere”.
Un compito doveroso specialmente per noi italiani, poiché la nostra
lingua è fondamentale per l’ascolto della musica. L’Italia ha donato al mondo
civile la maggior parte del lessico musicale usato nel mondo; in particolare, è
tutta italiana la nascita del teatro d’opera. L’italiano non è soltanto la
nostra lingua, essa è noi: “Senza la lingua italiana, noi italiani non siamo”.
E dunque: “Combattere per la musica e in nome della musica è un dovere
(…) Chi reagisce all’aggressione contro la musica, difende l’oggetto più nobile
che la civiltà fondata sul ‘logos’ (tale è l’Occidente, le cui radici sono
elleniche e non cristiane) possieda (…) Si combatte per difendere ciò che si ha
di più prezioso, l’oggetto senza il cui possesso l’esistenza non è degna di
essere vissuta. Combattere in nome della musica e per la musica è combattere
per i supremi significati della nostra cultura (…) In questo dovere – conclude
Quirino Principe - si concentra il mio impegno morale”.
(Questa mia recensione è stata pubblicata sul quotidiano Il Foglio di venerdì 22 maggio; non compare nell'edizione on line)
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