Donald Trump
ha fatto un discorso veramente pessimo: nazionalista, isolazionista,
protezionista, proibizionista. E populista ovviamente, contro quei “politicanti
di Washington” di cui leggevamo da bambini nei fumetti di Tex Willer. Come se
coloro che in passato hanno eletto quei politicanti, cioè i cittadini
americani, non fossero gli stessi che oggi hanno eletto lui; come se adesso,
per liberarsi dall’inganno di quei “politicanti di Washington”, gli americani dovessero
fidarsi di un governo di miliardari, di vecchi generali incarogniti, di CEO
delle grandi multinazionali del petrolio.
Trump ha
fatto un discorso completamente sbagliato, perché “America first” non significa
nulla. Il nazionalismo non ha nulla a che vedere con il patriottismo, con l’amore
per il proprio paese, con l’attaccamento alle radici storiche (culturali,
religiose eccetera) dell’identità nazionale. Per tre volte, nel corso del ‘900,
gli Stati Uniti hanno attraversato l’Atlantico per salvare e liberare l’Europa,
prima dal nazionalismo poi dal comunismo. Questa è la vocazione autentica della
Grande Potenza Democratica.
Ora invece Trump
evoca un nuovo isolazionismo: una politica antistorica, opposta rispetto al
ruolo internazionale degli Stati Uniti e alle responsabilità che essi ricoprono
in Europa, in Asia e ovunque.
Per
realizzare questa politica, Trump punta a restaurare il protezionismo economico,
ma si illude: è la natura stessa dell’economia americana a esigere la libertà
di mercato, di scambio e di commercio, la libertà di circolazione dei capitali
e delle persone.
Anche la
lotta alla droga si rivelerà illusoria, come lo è stata finora, perché il
proibizionismo ha sempre e solo arricchito le grandi organizzazioni criminali
internazionali. Ancora, è la stessa America che ce lo ricorda, al tempo del
proibizionismo sugli alcolici.
Trump va
dunque in direzione opposta rispetto alla storia americana. Gli Stati Uniti
sono stati nel mondo contemporaneo come il grande impero navale e commerciale ateniese,
di quella Atene democratica decantata da Pericle nella sua celebre orazione.
Ora invece sembrano virare in direzione di Sparta, la potenza militare aristocratica,
agricola ed economicamente chiusa.
Una sola
cosa è apprezzabile, nell’esordio di Trump: la volontà dichiarata di procedere
a una lotta senza quartiere contro il terrorismo e il fondamentalismo islamico,
e la decisione di schierarsi con forza dalla parte di Israele. Effettivamente,
Obama ha commesso molti errori nella sua politica estera, soprattutto in Medio
Oriente. Forse sarebbe stato meglio correggere questi errori, invece di
commetterne di nuovi, più grandi e più gravi.
Ora Trump punta
ad accordarsi con Putin, a mandare in pezzi l’Unione europea, ad abbandonare gli
alleati al proprio destino. Sarebbe una catastrofe, per l‘Occidente liberale,
per l’Europa democratica e in particolare per la debole Italia, vittima
predestinata di ogni populismo.
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