venerdì 21 ottobre 2016

Troppi decreti? Indignati, ma non troppo

Parliamo adesso di decreti legge. Questo istituto viene radicalmente modificato dalla riforma costituzionale su cui voteremo il 4 dicembre. (Viene introdotto anche il “disegno di legge governativo a data certa”, di cui scriverò la prossima volta).
Oggi i decreti legge sono emanati dal governo ed entrano immediatamente in vigore. Il Parlamento può convertirli in legge, con o senza modifiche, entro 60 giorni. Altrimenti decadono. La Costituzione dice solo che il governo può ricorrervi “in caso di straordinaria necessità e urgenza”, senza specificare. Una legge dell’88 aveva cercato di definire meglio questi criteri, ma trattandosi di una legge ordinaria, è rimasta lettera morta. I governi (tutti, di qualsiasi colore) hanno sempre largamente abusato del ricorso al decreto legge, per governare speditamente. E i partiti di opposizione (tutti, di qualsiasi colore) hanno sempre vibratamente protestato. Salvo fare il contrario, una volta al governo. Nella legislatura in corso, i decreti convertiti in legge sono stati il 30,5% delle leggi approvate; nella precedente legislatura, il 27%. Chiaro?
Veniamo al dunque. Ora i sostenitori del No, assai smemorati, parlano poco di questo argomento, perché non torna utile alla loro campagna demagogica.
La riforma costituzionale, infatti, mette un argine al ricorso ai decreti legge governativi, poiché i criteri limitativi (già indicati dalla legge ordinaria) vengono ora INSERITI NELLA COSTITUZIONE. In questo modo, la Corte costituzionale quando valuterà i ricorsi, potrà dichiarare inammissibile la legge per mancanza di requisiti. Oggi non può farlo, domani sì.
Dunque questa riforma limita gli abusi del governo e aumenta le garanzie costituzionali. Chiaro?
Inoltre, i decreti legge sono spesso provvedimenti “omnibus”, trenini a cui il parlamento non esita ad aggiungere qualche “vagone”, lungo il percorso di approvazione. Invece la riforma, recependo una sentenza del 2012, inserisce in Costituzione anche il criterio di omogeneità del testo.
Infine, nel caso in cui il Presidente della Repubblica decida di rinviare il decreto alla Camera, i termini si allungano da 60 a 90 giorni, per dare modo al Parlamento di recepire le obiezioni del Capo dello Stato. Un’ulteriore garanzia di equilibrio costituzionale fra governo, parlamento e Presidente della Repubblica.
Giorgio Napolitano ha raccontato, nei giorni scorsi, di avere passato nove anni al Quirinale a ricevere le delegazioni delle opposizioni, indignate contro l’abuso dei decreti legge governativi. Per questo, ha spiegato, voterà Sì: proprio per consentire al parlamento di legiferare in modo più degno e responsabile.

“NAPOLITANO HA DETTO CHE IL PARLAMENTO E’ INDEGNO…!!!”, ha subito starnazzato in Senato il leghista Calderoli, famigerato autore del Porcellum. Ma si può essere più scemi di così?

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