mercoledì 5 ottobre 2016

Ma non esistono riforme "perfette"

Suggerisco a tutti la lettura del bel pamphlet che Marilisa D’Amico, docente di Diritto costituzionale alla Statale di Milano, ha scritto con Giuseppe Arconzo e Stefania Leone: “COME cambia la COSTITUZIONE? – Guida alla lettura della riforma costituzionale” (Giappichelli).
Il libretto (140 pagine) contiene in apertura un concetto fondamentale, per valutare come orientarsi al referendum del 4 dicembre. I giuristi lo chiamano “l’imperfezione dell’atto normativo”. La definizione è altisonante ma il principio è semplicissimo: tutte le norme giuridiche, per loro stessa natura, sono imperfette e dunque migliorabili. Di conseguenza, tutti i sistemi costituzionali, nessuno escluso, sono esposti a problemi interpretativi e a possibili conflitti. Lo stesso vale, ovviamente, per le proposte di riforma.
I sistemi giuridici “perfetti” esistono solo in astratto. La concezione stessa del diritto come “idea pura”, è pericolosa, tipica degli Stati etici e dei sistemi totalitari. Bisogna sempre tenerlo presente, anche quando si parla della Costituzione “più bella del mondo”.
A questo proposito, Marilisa D’Amico scrive parole illuminanti. E’ bene ricordare che nel dicembre del ’47, dopo lunghe discussioni e grandi compromessi, si decise infine di approvare il testo così come era stato licenziato dalla Commissione (salvo modifiche di bella forma) lasciando aperte un sacco di questioni, anche di fondamentale importanza, che infatti si sarebbero risolte solo anni o decenni più tardi. (Per la verità, alcune sono aperte ancora oggi, ma lasciamo perdere).
Se i Padri Costituenti, nel ’47, avessero deciso di respingere quel testo, con la motivazione che esso lasciava molte questioni aperte e che avrebbe creato numerosi problemi, la Costituzione “più bella del mondo” non avrebbe mai visto la luce. Nessuna Costituzione infatti può essere approvata con la certezza assoluta che essa funzionerà alla perfezione. Né esiste una Costituzione che possa piacere a tutti.
Viceversa, in questi giorni, ascoltiamo spesso ripetere questa litania: che nella riforma Renzi-Boschi non sono ben definite le prerogative del nuovo Senato, rispetto agli altri poteri dello Stato. Si tratta di una motivazione evidentemente strumentale, avanzata con grande superficialità, o spesso in malafede, da personaggi interessati a nascondere dietro ragioni tecniche e giuridiche, la propria ostilità - tutta politica - nei confronti del governo.
Sia ben chiaro: essere pregiudizialmente ostili al governo è legittimo, ci mancherebbe. Altrettanto legittimo è criticare una riforma poco convincente. Assai meno legittimo è invece sollevare grandi cortine fumogene, e trincerarsi dietro a grandi luminari e cattedratici ottuagenari, per nobilitare calcoli di partito e ambizioni personali inconfessabili.


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