Qui di seguito, la mia recensione di "L'Ucraina in 100 date", di Giulia Lami (ed. Della Porta) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di mercoledì 1 febbraio.
“La storia a volte accelera all’improvviso, spariglia le carte in tavola, obbliga a scelte rapide, che richiedono coraggio e determinazione. Ne sanno qualcosa gli ucraini, che un mattino si sono trovati davanti l’invasore e hanno optato per resistere”.
Giulia Lami, docente di Storia dell’Europa orientale e autrice di numerosi saggi di storia e cultura russa e ucraina, sceglie di concentrare in 100 date, poco più di 200 pagine, il lungo e travagliato percorso di un antico popolo. Ne sortisce un saggio agile, interessante, denso e completo, utilissimo per capire il presente.
Dalla
fine del X secolo fino alla metà del XIII, la Rus’ di Kyiv dominava su un
vastissimo territorio, mentre Mosca era un centro minore. Il 1240 è l’anno
fatidico dell’invasione dei Mongoli, che distruggono la capitale e sciolgono il
regno.
Secoli
dopo, è l’elemento cosacco il nuovo protagonista politico e militare, che getta
le basi dell’identità nazionale ucraina (“Siamo di stirpe cosacca”, recita oggi
l’ultimo verso dell’inno nazionale). L’alleanza con l’infida Moscovia (1654) si
rivelerà fatale. Dalla spartizione fra russi e polacchi nasce il dualismo fra
una parte orientale del paese, dominata da Mosca, e una parte occidentale
(Rutenia, Galizia, Bucovina) sotto l’egemonia europea. Nell’800, sono Nikolaj Gogol’,
ma soprattutto Taras Shevchenko (1814-1861) poeta e padre della lingua, a
gettare le basi del risorgimento culturale nazionale. E’ Shevchenko che
coscientemente sceglie, per la sua terra, la denominazione di ‘Ucraina’.
Con la guerra e la rivoluzione bolscevica, arrivano gli anni peggiori. Stalin sopprime dapprima la classe colta (la “Rinascita fucilata”) poi stermina i contadini: dei sei milioni “affamati a morte” (holodomor) almeno due terzi erano ucraini. Seguono la tragica epopea dell’occupazione nazista, il ritorno di Stalin e la normalizzazione. Libertà e indipendenza arriveranno solo con il crollo del comunismo. Per tre volte (1990, 2004, 2013) ‘Majdan’ diventa il simbolo dell’Ucraina democratica che guarda all’Europa per sottrarsi al plurisecolare giogo russo.
“Dopo aver visto quale complesso di eventi gli ucraini dovettero affrontare, desta stupore che siano riusciti a creare governi nazionali, a dotarli di truppe, a difenderli da aggressioni interne ed esterna, a creare istituzioni amministrative e culturali, ad abbozzare una struttura statuale, a promulgare leggi, ad attuare riforme, a perseguire obiettivi di unificazione e di recupero di terre ‘irredente’ (…) La storia dell’Ucraina non è una storia di statualità debole, ma di statualità negata”.
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