Qui di seguito, la mia recensione di Dove non mi hai portata, di Maria Grazia Calandrone (Einaudi) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di oggi.
“Lucia,
invece, fa i numeri del circo e il padre la insegue col fucile lungo il corso
principale del paese. Altri genitori legano le figlie ribelli a un albero coperto
di formiche e le lasciano lì tutta la notte, per piegare la loro volontà a matrimoni
indesiderati”.
Ancora
negli anni Cinquanta – dunque in un’epoca non poi così lontana – era normale
che nelle campagne abruzzesi una ragazza da marito fosse caricata di legnate e
persino minacciata di morte dal padre, per essere costretta a sposarsi con un
uomo insulso e impotente, considerato lo scemo del paese, in cambio di un
terreno limitrofo alla proprietà della famiglia di lei.
Dimostrando
una forza d’animo davvero ammirevole, a oltre cinquant’anni dai fatti, Maria
Grazia Calandrone trova il coraggio di esplorare la misera storia che porta al
suicidio congiunto dei suoi genitori, che si lasciano affogare nel Tevere
nell’estate del ’65, dopo aver abbandonato la loro bambina di otto mesi in un
prato di Villa Borghese.
Ne
sortisce una biografia di sconfinata amarezza e ingiusto dolore, un procedere
difficile, indaginoso, disturbante, appena attenuato dalla dolcezza di alcune testimonianze.
L’autrice, poetessa pluripremiata, scrive con penna malinconica e toccante: la
poesia si impone in molti passaggi, la stessa prosa si adagia spesso
nell’endecasillabo.
Tutto
è incentrato sulla figura disperata e tragica di Lucia, per sette anni bloccata
in un matrimonio neppure consumato. La famiglia di origine la respinge, la
famiglia di adozione, offesa del rifiuto iniziale, la maltratta e la affama.
Lucia, ridotta a una schiava, è costretta a mendicare qualcosa dai vicini; lui
la spinge con il forcone, come si usa con i maiali. Tutto il paese sa, e tace.
In
circostanze casuali, Lucia si lascia sedurre da Giuseppe, capomastro di 56
anni, sconcertato di trovarla illibata. I due fuggono. Come per tutti i
meridionali in cerca di riscatto, Milano è al contempo un traguardo e un
miraggio. Lei ha il pancione, lui è ormai anziano, il “miracolo economico”
significa anche licenziamenti, lavoro nero, indigenza, povertà assoluta. Anche
la nascita di Maria Grazia è occasione di mortificazione, discriminazioni,
rifiuti: la legge italiana di quegli anni è un incubo, per un’adultera. Lucia e
Giuseppe si arrendono, stanchi delle troppe sofferenze e ingiustizie patite nel
corso di una vita grama.
Scrive
Maria Grazia alla madre sconosciuta: “Spero che mentre te ne vai, Lucia,
risenti le campane della festa, che fanno piovere larghezza e fiori sulla
campagna ancora addormentata. Spero che finalmente ti riposi”.
Lo leggerò sicuramente. La tua recensione che rende quasi poetica anche una storia così cattiva, mi “obbliga” a leggere il libro.
RispondiEliminaGrazie dell'apprezzamento. Mi spiace che il tuo commento risulti "anonimo". Sarei felice di sapere chi sei tu. :-)
EliminaSembra davvero un bel libro, complimenti per la scelta.
RispondiEliminaGrazie Sandro. E' un racconto tipico della letteratura femminile meridionale. Ciò che lo rende diverso dagli altri, è che è tutto vero. E' una biografia e non un romanzo. Per questo l'ho molto amato e credo che la mia recensione sia venuta particolarmente bene, perché sentita.
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