Qui di seguito, la mia recensione di "Cose dell'altro mondo. Pirandello e Dante", di Annamaria Andreoli (Ed. Salerno) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di oggi.
“Diversi
nodi avvincono Pirandello a Dante”, spiega Annamaria Andreoli, studiosa di
letteratura italiana e presidente dell’Istituto di Studi Pirandelliani di Roma.
Gli esempi si sprecano. Nel mezzo del cammino della sua vita, il trentatreenne
Mattia Pascal sperimenta una sorta di passaggio fra la vita e la morte, sia
pure intesa come “morte civile”; nel capitolo finale di Uno, nessuno e
centomila, il protagonista Vitangelo Moscarda mormora sconfortato fra sé e sé:
“Quest’albero, respiro tremulo di foglie nuove. Sono quest’albero”, emulo del
suicida Pier Della Vigna, trasformato in pianta per la legge del contrappasso,
nel celebre Canto XIII dell’Inferno. E così via.
In
realtà, il giovane Pirandello ha respirato Dante in famiglia fin dalla più
tenera età. Nel corso delll’800, il sommo poeta è il Padre della patria e
simbolo del Risorgimento italiano; per il padre di Luigi, fervente patriota, battersi
a fianco di Garibaldi e leggere Dante sono una cosa sola.
In
seguito, l’opera di Pirandello resta legata a Dante in modo indissolubile. Il
1921, sesto centenario della morte di Dante, è l’anno del debutto di Sei
personaggi in cerca d’autore, che procura a Pirandello il successo
internazionale. Questa commedia, osserva Andreoli, “racchiude come in uno
scrigno vari omaggi danteschi, che molto suggeriscono sui rapporti che lo
scrittore da sempre intrattiene con la Divina Commedia”, in particolare per la
“doppia esistenza” di alcuni personaggi che Dante incontra durante il suo
viaggio nell’Aldilà. Anche l’Enrico IV, pubblicato alla fine dello stesso anno,
può e deve essere interpretato come un’opera ricca di influssi danteschi –
l’unica che Pirandello abbia ambientato in pieno Medioevo.
In
occasione delle celebrazioni di quell’anno, Pirandello pubblica su “L’Idea
Nazionale” un articolo, “La poesia di Dante”, nel quale egli lo interpreta come
poeta della passione civile, della denuncia, dell’invettiva indignata. Caratteristiche,
inutile dirlo, che egli rivendica come proprie, e che ben si attagliano al suo
carattere scostante e sulfureo.
Del
resto, nell’opera di Pirandello, le invettive politiche “dantesche” erano
risuonate per tempo: “La mia patria se la mangiano i cani… Io odio l’Italia
d’oggi, personificata nel suo Re galantuomo e imbecille, che siede su un trono
merdoso…”. Nel Fu Mattia Pascal leggiamo una tirata in piena regola contro la
democrazia: “Bel guadagno essere governati dalla maggioranza; quando i molti
governano… si ha la tirannia più odiosa: la tirannia mascherata da libertà!”.
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