Perché
Hitler riuscì a salire al potere? Intorno a questo interrogativo, su cui si
sono arrovellate intere generazioni di storici e studiosi, si sviluppa il
saggio dell’americano Ben Novak, che rielabora e ripropone la sua tesi,
incentrata sulla formazione psicologica del capo del nazismo.
Hitler
è stato definito via via opportunista, demagogo, pedina del capitalismo
eccetera, ma tutte queste definizioni si sono rivelate banali, parziali o
errate. Anche le condizioni storiche e sociali della Germania di Weimar, come
spiegazione, rappresentano solo una “mezza verità”, e il fatto che Hitler fosse
uno psicopatico e sociopatico, affetto da ogni sorta di disordine mentale, non
riesce a spiegare come una persona con tali nevrosi e psicosi sia stata in
grado di conquistare il potere.
Fu
Konrad Heiden, negli anni Trenta, il primo a sostenere che il segreto del
successo di Hitler sia consistito “in una forma particolare di logica”, che è
stata successivamente identificata con il termine di abduzione. “L’abduzione è una terza forma di logica, in aggiunta e
differente dalle due tradizionali forme di logica note dai tempi di Aristotele,
cioè la deduzione e l’induzione”.
In
realtà, questa terza forma di logica fu teorizzata per primo dall’americano
Charles Pierce (1839-1914) che lasciò in eredità migliaia di pagine, solo in
parte raccolte in otto volumi e pubblicate a partire dal 1966. L’abduzione è
“un tipo di ragionamento che inferisce, dai dati a disposizione, spiegazioni
plausibili”. E’ fondata cioè sulla capacità geniale, intuitiva o inventiva di
un individuo, di immaginare una spiegazione apparentemente razionale. “La
formulazione originale di Pierce del sillogismo abduttivo è la seguente: si
osserva il fatto sorprendente C; ma se A fosse vero, C sarebbe naturale; quindi
vi è ragione di sospettare che A sia vero”.
Caratteristica
fondamentale dell’abduzione è di essere inizialmente immune alla confutazione, ciò
che si rivelò particolarmente utile a Hitler. La sua narrazione era falsa,
semplicistica e, secondo una logica normale, rozza. Tuttavia Hitler contava sul
fallimento di ogni altro partito o uomo politico nell’offrire una spiegazione
migliore. Dopo aver preso il potere, il Fuerher fu libero di spiegare “la
singolare arte della logica” con cui aveva ingannato i suoi oppositori e
critici. Aveva inventato spiegazioni, le aveva amplificate in una visione del
mondo e presentate in maniera mendace alla nazione tedesca. Anche se la
sostanza era falsa, lui aveva padroneggiato una strana forma di logica, che lo
aveva portato al potere.
“I
discorsi di Hitler possono essere rifiutati dalla ragione, ma seguono una
logica ben più potente, che non può essere smentita. La fonte e il segreto di
Hitler può essere finalmente spiegata: fu la sua abilità all’abduzione, la sua
capacità di indicare le “cause” della condizione tedesca. Tutti i suoi
oppositori e critici ridevano di lui e lo chiamavano illogico. Ma Hitler
conosceva una logica i cui meccanismi essi non comprendevano. Il segreto della
sua logica era l’abduzione, e con essa egli ha rapito tutta la nazione
tedesca”.
Altresì
decisive furono, nella forma mentis
del dittatore, alcune letture dell’adolescenza, in particolare il romanzo
d’avventura e western “Winnetou”, di Karl May, che lo esaltò al punto da fargli smettere
di studiare. Fu scioccato anche dall’ascolto, nel 1905 a Vienna, del “Rienzi”
di Wagner, ispirato alla figura di Cola di Rienzo: mescolandosi con la gente
comune e grazie alla sua eccellente oratoria, costui conquistò le folle di Roma
e nel 1347, con il sostegno della Chiesa, divenne dittatore della città.
(Questa mia recensione è stata pubblicata sul quotidiano Il Foglio di martedì 5 maggio; non compare nell'edizione on line)
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