mercoledì 6 maggio 2020

"La logica di Hitler", di Ben Novak (Free Ebrei)


Perché Hitler riuscì a salire al potere? Intorno a questo interrogativo, su cui si sono arrovellate intere generazioni di storici e studiosi, si sviluppa il saggio dell’americano Ben Novak, che rielabora e ripropone la sua tesi, incentrata sulla formazione psicologica del capo del nazismo.
Hitler è stato definito via via opportunista, demagogo, pedina del capitalismo eccetera, ma tutte queste definizioni si sono rivelate banali, parziali o errate. Anche le condizioni storiche e sociali della Germania di Weimar, come spiegazione, rappresentano solo una “mezza verità”, e il fatto che Hitler fosse uno psicopatico e sociopatico, affetto da ogni sorta di disordine mentale, non riesce a spiegare come una persona con tali nevrosi e psicosi sia stata in grado di conquistare il potere.
Fu Konrad Heiden, negli anni Trenta, il primo a sostenere che il segreto del successo di Hitler sia consistito “in una forma particolare di logica”, che è stata successivamente identificata con il termine di abduzione. “L’abduzione è una terza forma di logica, in aggiunta e differente dalle due tradizionali forme di logica note dai tempi di Aristotele, cioè la deduzione e l’induzione”.
In realtà, questa terza forma di logica fu teorizzata per primo dall’americano Charles Pierce (1839-1914) che lasciò in eredità migliaia di pagine, solo in parte raccolte in otto volumi e pubblicate a partire dal 1966. L’abduzione è “un tipo di ragionamento che inferisce, dai dati a disposizione, spiegazioni plausibili”. E’ fondata cioè sulla capacità geniale, intuitiva o inventiva di un individuo, di immaginare una spiegazione apparentemente razionale. “La formulazione originale di Pierce del sillogismo abduttivo è la seguente: si osserva il fatto sorprendente C; ma se A fosse vero, C sarebbe naturale; quindi vi è ragione di sospettare che A sia vero”.
Caratteristica fondamentale dell’abduzione è di essere inizialmente immune alla confutazione, ciò che si rivelò particolarmente utile a Hitler. La sua narrazione era falsa, semplicistica e, secondo una logica normale, rozza. Tuttavia Hitler contava sul fallimento di ogni altro partito o uomo politico nell’offrire una spiegazione migliore. Dopo aver preso il potere, il Fuerher fu libero di spiegare “la singolare arte della logica” con cui aveva ingannato i suoi oppositori e critici. Aveva inventato spiegazioni, le aveva amplificate in una visione del mondo e presentate in maniera mendace alla nazione tedesca. Anche se la sostanza era falsa, lui aveva padroneggiato una strana forma di logica, che lo aveva portato al potere.
“I discorsi di Hitler possono essere rifiutati dalla ragione, ma seguono una logica ben più potente, che non può essere smentita. La fonte e il segreto di Hitler può essere finalmente spiegata: fu la sua abilità all’abduzione, la sua capacità di indicare le “cause” della condizione tedesca. Tutti i suoi oppositori e critici ridevano di lui e lo chiamavano illogico. Ma Hitler conosceva una logica i cui meccanismi essi non comprendevano. Il segreto della sua logica era l’abduzione, e con essa egli ha rapito tutta la nazione tedesca”.
Altresì decisive furono, nella forma mentis del dittatore, alcune letture dell’adolescenza, in particolare il romanzo d’avventura e western “Winnetou”, di Karl May, che lo esaltò al punto da fargli smettere di studiare. Fu scioccato anche dall’ascolto, nel 1905 a Vienna, del “Rienzi” di Wagner, ispirato alla figura di Cola di Rienzo: mescolandosi con la gente comune e grazie alla sua eccellente oratoria, costui conquistò le folle di Roma e nel 1347, con il sostegno della Chiesa, divenne dittatore della città.

(Questa mia recensione è stata pubblicata sul quotidiano Il Foglio di martedì 5 maggio; non compare nell'edizione on line)


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