Risparmiare il
denaro pubblico, eliminando sprechi e privilegi assurdi, è un dovere morale. Non
sarà certo questa la soluzione ai problemi dell’economia italiana, è vero, ma
resta il fatto – difficilmente contestabile – che razionalizzare l’ordinamento
dello Stato, tagliare alcune spese istituzionali, ridurre i costi della
politica è giusto e necessario. Si tratta, ripetiamolo, di un’esigenza di
elementare moralità.
Angelo
Panebianco ha scritto sul Corriere della Sera del primo novembre che la politica non deve suicidarsi, correndo
dietro al qualunquismo, come quando sostiene, per esempio, che una delle
principali virtù della riforma costituzionale sia la riduzione del numero dei
parlamentari. Panebianco ha ragione, infatti non si tratta affatto “principalmente”
di questo, e ancor meno “solo” di questo. Però si tratta “anche” di questo. La
riforma realizza alcuni significativi risparmi, in vari ambiti, per corrispondere
a una richiesta giusta e pressante dell’opinione pubblica. Vediamoli in
dettaglio.
1)
I senatori sono ridotti da 315 a 100; inoltre la
riforma impedisce ai sindaci e consiglieri regionali che assumeranno l’incarico
di senatore, di percepire un’indennità supplementare per questo incarico. Già per
effetto di queste sole due modifiche, il Senato costerà molto di meno.
2)
Sui costi del Parlamento inciderà positivamente
anche la norma che prevede l’integrazione funzionale delle amministrazioni di
Camera e Senato, con servizi comuni, impiego coordinato delle risorse umane,
ruolo unico dei dipendenti eccetera. Un’altra razionalizzazione che consentirà
di risparmiare sul personale e sull’attività.
Varie sono
le economie che si realizzeranno poi a livello regionale.
3)
Se vinceranno
i Sì, i consiglieri regionali non potranno percepire un compenso superiore a
quello del sindaco del capoluogo di regione. Per chi non lo sapesse, oggi le
retribuzioni dei consiglieri regionali sono letteralmente SCANDALOSE, ben camuffate
e suddivise in varie voci. Una spesa tanto più immorale, in quanto relativa a
un’attività quasi inesistente: un consiglio e un paio di sedute di commissione alla
settimana, spesso “saltando” settimane o mesi interi. Una vergogna, se
paragonata all’impegno richiesto al sindaco di una grande città. Se non passa la riforma, nessun governo in
futuro potrà intervenire su questo.
4)
Le spese dei gruppi consiliari regionali – un
altro sperpero inqualificabile – non potranno più gravare sulla finanza
pubblica (articolo 40 delle disposizioni transitorie finali).
5)
I costi per il funzionamento delle Regioni e
degli enti locali saranno determinati da indicatori
statali, sulla base di criteri di “efficienza”. In altre parole: basta sprecare
a piene mani i soldi dei cittadini ammantandosi di nobili parole quali “autonomia
amministrativa”, “federalismo fiscale”, “indipendenza” (della Padania o della
Sicilia) eccetera. La pacchia è finita.
Infine, vi
sono altri due tagli doverosi, positivi e difficilmente contestabili:
6)
L’abolizione definitiva delle province: meglio
tardi che mai.
7)
L’abolizione del CNEL (Consiglio nazionale dell’economia
e del lavoro). Il più inutile degli enti inutili, inserito nella “Costituzione-più-bella-del-mondo”
in omaggio alle ideologie novecentesche – corporativismo compreso – e istituito
nel 1957. Non è mai servito concretamente a nulla e ha generato una spesa
ingiustificatamente alta. Sulla sua abolizione prima erano tutti d’accordo, ma in
un’intervista Susanna Camusso è riuscita a trovare da ridire anche su questa abolizione.
Potenza del renzismo.
Nell’insieme,
queste misure comportano un notevole risparmio, per le casse dello Stato. Tutti
dovrebbero ammetterlo. Ma siccome questi risparmi sono difficili da
quantificare, ecco i sostenitori del No blaterare che in realtà si risparmia
poco o nulla. La riforma l’ha fatta Renzi, non si può fare altro che opporsi, urlare
No e proclamare: “Quando saremo noi al governo, faremo BEN ALTRO! BEN ALTRO!”
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