venerdì 18 novembre 2016

I tanti risparmi della riforma costituzionale

Risparmiare il denaro pubblico, eliminando sprechi e privilegi assurdi, è un dovere morale. Non sarà certo questa la soluzione ai problemi dell’economia italiana, è vero, ma resta il fatto – difficilmente contestabile – che razionalizzare l’ordinamento dello Stato, tagliare alcune spese istituzionali, ridurre i costi della politica è giusto e necessario. Si tratta, ripetiamolo, di un’esigenza di elementare moralità.
Angelo Panebianco ha scritto sul Corriere della Sera del primo novembre che la politica non deve suicidarsi, correndo dietro al qualunquismo, come quando sostiene, per esempio, che una delle principali virtù della riforma costituzionale sia la riduzione del numero dei parlamentari. Panebianco ha ragione, infatti non si tratta affatto “principalmente” di questo, e ancor meno “solo” di questo. Però si tratta “anche” di questo. La riforma realizza alcuni significativi risparmi, in vari ambiti, per corrispondere a una richiesta giusta e pressante dell’opinione pubblica. Vediamoli in dettaglio.
1)      I senatori sono ridotti da 315 a 100; inoltre la riforma impedisce ai sindaci e consiglieri regionali che assumeranno l’incarico di senatore, di percepire un’indennità supplementare per questo incarico. Già per effetto di queste sole due modifiche, il Senato costerà molto di meno.
2)      Sui costi del Parlamento inciderà positivamente anche la norma che prevede l’integrazione funzionale delle amministrazioni di Camera e Senato, con servizi comuni, impiego coordinato delle risorse umane, ruolo unico dei dipendenti eccetera. Un’altra razionalizzazione che consentirà di risparmiare sul personale e sull’attività.
Varie sono le economie che si realizzeranno poi a livello regionale.
3)      Se vinceranno i Sì, i consiglieri regionali non potranno percepire un compenso superiore a quello del sindaco del capoluogo di regione. Per chi non lo sapesse, oggi le retribuzioni dei consiglieri regionali sono letteralmente SCANDALOSE, ben camuffate e suddivise in varie voci. Una spesa tanto più immorale, in quanto relativa a un’attività quasi inesistente: un consiglio e un paio di sedute di commissione alla settimana, spesso “saltando” settimane o mesi interi. Una vergogna, se paragonata all’impegno richiesto al sindaco di una grande città. Se non passa la riforma, nessun governo in futuro potrà intervenire su questo.
4)      Le spese dei gruppi consiliari regionali – un altro sperpero inqualificabile – non potranno più gravare sulla finanza pubblica (articolo 40 delle disposizioni transitorie finali).
5)      I costi per il funzionamento delle Regioni e degli enti locali saranno determinati da indicatori statali, sulla base di criteri di “efficienza”. In altre parole: basta sprecare a piene mani i soldi dei cittadini ammantandosi di nobili parole quali “autonomia amministrativa”, “federalismo fiscale”, “indipendenza” (della Padania o della Sicilia) eccetera. La pacchia è finita.
Infine, vi sono altri due tagli doverosi, positivi e difficilmente contestabili:
6)      L’abolizione definitiva delle province: meglio tardi che mai.
7)      L’abolizione del CNEL (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro). Il più inutile degli enti inutili, inserito nella “Costituzione-più-bella-del-mondo” in omaggio alle ideologie novecentesche – corporativismo compreso – e istituito nel 1957. Non è mai servito concretamente a nulla e ha generato una spesa ingiustificatamente alta. Sulla sua abolizione prima erano tutti d’accordo, ma in un’intervista Susanna Camusso è riuscita a trovare da ridire anche su questa abolizione. Potenza del renzismo.
Nell’insieme, queste misure comportano un notevole risparmio, per le casse dello Stato. Tutti dovrebbero ammetterlo. Ma siccome questi risparmi sono difficili da quantificare, ecco i sostenitori del No blaterare che in realtà si risparmia poco o nulla. La riforma l’ha fatta Renzi, non si può fare altro che opporsi, urlare No e proclamare: “Quando saremo noi al governo, faremo BEN ALTRO! BEN ALTRO!”


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