Qui di seguito, la mia recensione di "Crisi della civiltà liberale e destino dell'Occidente", di Giampietro Berti (Rubbettino, 625 pagine, 28 euro) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di mercoledì 24 novembre.
Il percorso antologico è incentrato sulla crisi della coscienza europea, nel periodo compreso fra le due guerre mondiali, e prende le mosse dal rapporto irrisolto fra democrazia e liberalismo, agli inizi del XX secolo.
Ancora
oggi, più di un secolo dopo, desta impressione quanto anche le migliori
intelligenze fossero appannate, alla viglia del conflitto che segnò la tragica fine
della Vecchia Europa. Quasi tutti gli intellettuali, in tutti i paesi, furono
favorevoli alla guerra. E’ un elenco sterminato e sconcertante, con poche
eccezioni: Romain Rolland, Kafka, Russel, Einstein, Artuhr Schnitzler e Karl
Kraus.
L’impostazione
dell’intero volume è di impianto tipicamente popperiano: lo scontro, nel XX
secolo così come alla nascita del pensiero occidentale, è sempre fra società
aperta e società chiusa – una dicotomia che prende avvio dalla contrapposizione
antica fra Atene e Gerusalemme, fra filosofia e teologia, più tardi fra
illuminismo e messianesimo.
Il
concetto stesso di modernità, spiega Berti, è inseparabile dal processo di
secolarizzazione: il capitalismo può svilupparsi, perché fondato sulla libertà
degli individui. Ma modernità e capitalismo non necessariamente coincidono:
anche le rivoluzioni, che sono una reazione alla “anomia” generata dal
capitalismo, sono un aspetto della modernità. Il capitalismo è un fatto
spontaneo, di natura economico-sociale, viceversa le rivoluzioni sono per lo
più atti deliberati, di natura politica. I veri protagonisti di queste ultime
non sono le masse, con le loro condizioni materiali, bensì le élites, in
particolare gli intellettuali frustrati dalla insopportabilità della loro
condizione psicologica ed esistenziale.
La storia non va “necessariamente” da nessuna parte, ricorda Berti: né verso la società comunista (Marx) né verso la società liberale (Fukuyama). “I problemi che assillano l’umanità – la conclusione è affidata a Luciano Pellicani - si risolvono con la scienza, le idee razionali, la tecnologia, il pragmatismo e la rinuncia all’idea di salvezza”.