Un’altra bufala messa in circolazione
in questo periodo dai sostenitori del No è quella secondo cui questo governo (“che
non è mai stato eletto dal popolo”) e questo Parlamento (“eletto, anzi nominato
con una legge dichiarata incostituzionale da una sentenza della Corte”) non
sarebbero legittimati – anche dal punto di vista formale, legale e giuridico – a
proporre e a votare una riforma costituzionale. Si tratta di tesi del tutto
inconsistenti e infondate, e anche un po' ridicole.
Punto primo. In Italia siamo in “regime
parlamentare”. Cioè il governo trae legittimità
unicamente dalla fiducia del Parlamento. Da nient’altro. Nessun governo,
dal ’48 a oggi, è mai stato eletto direttamente “dal popolo”. Il popolo elegge
il Parlamento, il Parlamento vota (o nega) la fiducia al governo. E basta. Negli
ultimi 20 anni, l’introduzione di un sistema elettorale maggioritario (prima il
Mattarellum, poi il Porcellum) ha creato in molti un errore di percezione: costoro
hanno avuto “l’impressione” di eleggere il governo, tramite un leader e la sua coalizione
vincitrice (Berlusconi, Prodi). Ma non è stato così. Infatti, ogni volta che
quella maggioranza è saltata, se ne è creata un’altra e il Parlamento ha votato
la fiducia a un altro governo (non mi dilungo negli esempi). E così sarà in
futuro, anche dopo l’eventuale vittoria del Sì alla riforma costituzionale,
perché la riforma non tocca la natura
del regime parlamentare. Questo governo è legittimo quanto tutti
i precedenti.
La seconda tesi, secondo cui il “Parlamento
dei nominati” non sarebbe autorizzato a modificare la Costituzione, perché
delegittimato dalla Corte, è appena un poco più insidiosa e suggestiva, ma altrettanto
infondata.
La sentenza della Corte
costituzionale (1/2014) che ha dichiarato parzialmente incostituzionale la
legge elettorale, dice chiaramente che la decisione “non tocca in alcun modo gli atti posti in
essere in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme
annullate, compresi gli esisti delle
elezioni svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto”. E
aggiunge che, “del pari, non sono
riguardati gli atti che le Camere adotteranno prima che si svolgano nuove
consultazioni elettorali”.
Il linguaggio è ostico, ma il
significato è chiaro. Nessun equivoco è possibile. Eppure c’è chi tenta di
sollevare polveroni pseudo-giuridici, confidando nella complessità della
materia.
E’ il caso del prof. Guido Calvi, ex
senatore Pds, membro non togato del Consiglio Superiore della Magistratura,
che ancora nei giorni scorsi ha sostenuto che “la sentenza della
Corte costituzionale del 2014, dichiarando incostituzionale il Porcellum, ha
anche prescritto che il Parlamento “rimaneva legittimamente in carica solo (???) per poter fare una nuova legge elettorale”,
mentre invece si è messo mano alla Costituzione”.
Questa sparata, sparsa ai quattro
venti dai “Giuristi del No”, è evidente frutto di malafede e disonestà intellettuale.
Calvi non può non conoscere la sentenza della Corte, che oltretutto più avanti specifica:
“E’
pertanto fuori da ogni ragionevole dubbio che nessuna incidenza è in grado di
spiegare la presente decisione neppure con riferimento agli atti che le Camere
adotteranno prima di nuove consultazioni elettorali: le Camere sono organi costituzionalmente necessari e indefettibili e
non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di
deliberare”.
Non bisognerebbe mai contrabbandare
le proprie opinioni come legge per tutti; e meno che mai confondere i desideri
con la realtà. Non si fa, senatore Calvi.
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