Qui di seguito, la mia recensione di "La sposa incatenata", di Chaim Grade (Giuntina) pubblicata in seconda pagina sul quotidiano Il Foglio di giovedì 12 giugno, con il titolo "Un mondo scomparso. Chaim Grade racconta il complicato rapporto fra l'ebraismo e la modernità".
“Sulla
strada del ritorno, il cantore dice a Merl di chiamarsi Kalman Maytes. Di
professione fa l’imbianchino, ma negli ultimi tempi non c’è lavoro. (…) Ha
sentito le donne dire che è sola. Le vuole chiedere dov’è suo marito… Non è
tornato dalla guerra? La guerra ormai è finita da così tanti anni, perché non
va dai rabbini a chiedere il permesso di risposarsi? Lui è vedovo già da
diversi anni e non può più sopportare la solitudine”.
A
partire da La moglie del rabbino (2019) Giuntina ha dato il via alla
pubblicazione in Italia delle opere del grande scrittore ebreo lituano Chaim
Grade. Nato a Vilna in una famiglia ortodossa, Grade si sottrae alla soffocante
rigidità del suo ambiente e prende parte attiva al processo di secolarizzazione
del mondo askenazita. L’intera sua famiglia è soppressa nella Shoah, lui si
salva in Unione sovietica. Successivamente emigra negli Stati Uniti, dove
diviene uno dei più importanti autori di letteratura yiddish del XX secolo.
Dopo
Fedeltà e tradimento (2021) ora è la volta di La sposa incatenata,
romanzo bellissimo, avvincente, ricco di suspense e di continui colpi di scena.
E’ la storia di una tipica disputa rabbinica, infinita e tormentosa, che
finisce per sconvolgere, in un crescendo drammatico, l’intera comunità ebraica
di Vilna, la “Gerusalemme del Baltico”.
“Non
voglio entrare in questo genere di congetture domestiche – replica con rabbia
rov Levi – Io mi attengo alla legge. L’opinione di rabbi Eliezer di Verdun è
minoritaria. E la legge non la segue, poiché i pilastri della dottrina
rabbinica sono contro di lui. E anche il giudice della via Polotsk è solo
contro l’intero consiglio rabbinico di Vilna”.
Quella
fra il più autorevole rabbino della città, che si oppone dogmaticamente, e il
più modesto giudice del quartiere in cui abita Merl, che le concede il permesso
di risposarsi mosso da compassione, non è la sola antinomia che attraversa il
romanzo. Vi è anche quella, assai più moderna, fra una donna operosa, dal
carattere aperto e solare, e l’odioso Morits, corteggiatore villano e sempre
respinto, che tramuterà il suo scorno in gelosia, invidia e desiderio di
vendetta.
Merl
potrebbe infischiarsene dei rabbini e sposarsi laicamente, ma non vuole dare un
dispiacere alla sua anziana madre, né vuole ritrovarsi in un matrimonio pessimo
e infelice come quello delle due sorelle. A causa dell’ambiente rigido e
tradizionalista che la circonda, la donna si ritrova “incatenata”, cioè invischiata in una serie di regole assurde. Così
lo scontro religioso interno al rabbinato si inasprisce e si estende.
“Rabbi,
abbiate pietà di voi stesso, di vostra moglie e dei vostri figli, e fate ciò
che i rabbini vi chiedono – Merl a stento rimane in piedi, vorrebbe gettarsi a
terra e abbracciare le ginocchia di rov Doved – Mi sono separata da mio marito
e non intendo sposarmi con nessun altro. Ero un’agunà e tornerò a
esserlo“. “Non vi ho dato il permesso per farvi un favore, ma perché così dice
la legge della Torà”, è la replica del rabbino alla donna.
La
calunnia comincia a serpeggiare fra gli ebrei di Vilna e si trasforma in un
fiume in piena. Il popolino si lascia abbindolare, la gelosia rode l’anima, anche
le persone più pure perdono la reputazione. Nell’incalzare degli avvenimenti,
la commedia si trasforma in dramma, il dramma in tragedia.
La
sposa incatenata parla di un mondo antico e scomparso, ma
è anche un romanzo psicologico, di eccezionale modernità proprio per la capacità
dell’autore di scavare nell’animo dei protagonisti, alla ricerca di pensieri
fra i più inconfessabili e reconditi. Un libro incentrato sul difficile
rapporto fra ebraismo e modernità, tradotto dall’yiddish da tre esperti di
assoluto valore.
Pochi anni dopo gli avvenimenti romanzati da Grade, gli ebrei orientali e le loro tradizioni millenarie saranno espulsi dall’umanità, brutalmente e per sempre.