Qui di seguito, la mia recensione di "Christopher e quelli come lui", di Christopher Isherwood (Adelphi) pubblicata in seconda pagina del quotidiano Il Foglio di martedì 26 novembre.
“Ma
cosa voleva? Hirschfeld aveva visto giusto quando lo aveva definito infantile.
Voleva tornare nel mondo della sua sessualità adolescente e riviverla senza le
inibizioni che allora gli avevano impedito di goderne fino in fondo (…) L’innocente
lussuria che aveva alimentato tutte quelle palpate di culo, quelle torsioni di
braccia, quel prendersi a pugni e fare la lotta seminudi negli spogliatoi, poteva
adesso uscire allo scoperto completamente nuda, senza vergogna, ed essere
pienamente soddisfatta”.
Ha
24 anni Christopher Isherwood, nel 1929, quando decide di lasciarsi alle spalle
l’ipocrisia britannica e le premurose attenzioni di una madre dalla quale non potrà
mai avere piena approvazione, per trasferirsi nella libertina e permissiva
Berlino, alla vigilia dell’avvento al potere del nazismo. Qui lo scrittore
coltiva passioni e amorazzi, avventure e tradimenti, in preda a una curiosità
abbandonica e lasciva, fra crisi isteriche e copiose lacrime. “Per quanto
riguarda Heinz, le cose tra noi vanno davvero molto bene. Al momento ci siamo
appena lasciati per sempre, ma questo è irrilevante”.
Nel
corso di dieci anni e di numerosi viaggi, Isherwood si afferma come uno dei più
interessanti e innovativi scrittori britannici del Novecento, prima di
trasferirsi negli Stati Uniti nel 1938.
Nel
1963, molti anni dopo aver descritto quel turbolento periodo nel suo romanzo di
maggior successo, Addio a Berlino - immortalato da Bob Fosse nel ’72 nel
celeberrimo film Cabaret - Isherwood dà alle stampe una più ampia e
bella autobiografia, ora ripubblicata da Adelphi con il titolo Christopher e
quelli come lui (387 pagine, 22 euro).
Qui
lo scrittore, divenuto nel frattempo una star del mondo letterario, narra di sé
stesso con grande distacco e indulgenza. Per farlo, passa di continuo dalla
prima alla terza persona: l’io narrante è l’Isherwood maturo che scrive, mentre
il protagonista è un Christopher giovane e insicuro, la cui volubilità emerge
dalla rilettura delle lettere e dei diari (in particolare quello della madre) e
dai rapporti con alcuni fra i maggiori autori e registi dell’epoca.
“Ricordo
lo shock di Christopher quando per la prima volta si rese conto che una delle
ospiti era in realtà un uomo. Si era sempre immaginato i travestiti come
creature chiassose, sguaiate, volutamente artefatte (…) Christopher credeva di
avere rifiutato ogni idea di normalità, e di considerarla ormai con una sorta
di divertito disprezzo. Ma il tipo di normalità presente all’Istituto
Hirschfeld disturbava il suo puritanesimo latente”.
Come
in un film, Isherwood “riprende” Christohper come l’osservatore straniero
distaccato, che riceve le prime impressioni. “Io sono una macchina fotografica,
completamente passiva, che registra e non pensa”. I am a Camera,
infatti, sarà il titolo della prima riduzione teatrale di Addio a Berlino.
Christopher e quelli come lui è un caposaldo della letteratura omosessuale. Un libro divertente, brillante, per molti versi istruttivo. Qualcuno oggi potrebbe giudicarlo datato, classista, snobistico: al contrario, si tratta di un libro esteticamente perfetto, oltre che di notevole interesse storico. Verosimilmente gli omofobi non lo leggeranno – e se mai lo leggessero, lo troverebbero irritante.