giovedì 21 dicembre 2017

"Come tessere di un domino", di Zigmunds Skujins

Scritto nel ’99, “Come tessere di un domino” è il romanzo storico che più ha contribuito a fare di Zigmunds Skujins, nato a Riga nel 1923, un grande punto di riferimento intellettuale e morale nella Lettonia di oggi. (...)
Il libro corre lungo un doppio binario, uno settecentesco l’altro novecentesco, a capitoli alterni. Indietro nel tempo, un’aristocratica tedesco-baltica, giovane vedova, vaga sulle tracce del marito dato per morto in battaglia, poiché Cagliostro in persona le ha rivelato che in realtà egli vive. (...)
Nell’altro racconto, fortemente autobiografico, tutte le tragedie del ‘900 sono filtrate attraverso lo sguardo ingenuo e incredulo di un adolescente, che assiste sgomento all’avanzare dell’irrazionalità e della follia. (...)
Come è stato scritto, c’è molto Italo Calvino nei personaggi di Skujins: c’è chi torna dimezzato dalla guerra, e ci sono destini che si incrociano stranamente, nell'antica magione alla periferia di Riga. Come due parallele che si incontrano solo all'infinito, anche le due parti del romanzo finiscono per confluire in un finale a sorpresa delicato e commovente. La doppia ambientazione si risolve in una bizzarra saga familiare, e anche la tragedia ebraica avrà un imprevisto supplemento di rappresentazione, sospeso fra giustizia e vendetta. (...)

A questo link, la mia recensione completa di "Come tessere di un domino", di Zigmunds Skujins (Iperborea) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di mercoledì 20 dicembre.
https://www.ilfoglio.it/il-foglio-internazionale/2017/12/20/news/come-tessere-di-un-domino-zigmunds-skujins-una-fogliata-di-libri--169803/

sabato 16 dicembre 2017

"Il personalismo musulmano", di Mohammed Lahbabi

Esiste un personalismo musulmano? Esiste cioè, nella teologia islamica, un elemento costitutivo e fondante, non secondario, che tuteli in modo forte e decisivo non solo la libertà dell’individuo, ma anche l’autonomia della persona – di ogni persona, uomo o donna, ricco o schiavo – la sua complessità, in rapporto agli altri esseri umani, alla società, alle istituzioni pubbliche, alla religione stessa…? Il teologo musulmano marocchino Mohammed Aziz Lahbabi (1923-1993) contemporaneo dei “nostri” Mounier, Lacroix, Maritain, fondatori del personalismo cristiano, sostiene di sì. (...)
Ciò premesso, occorre affermare con forza che le argomentazioni di Lahbabi non appaiono convincenti. La citazione coranica “Non c’è costrizione in religione” viene riproposta del tutto avulsa da qualsiasi riscontro storico e fattuale, così come molte altre. (...)
L’autore stesso riconosce che “caratterizza fortemente l’Islam una certa tendenza al totalitarismo, all’unicità (…) Nell’Islam non c’è nessun clero, né la distinzione tra religioso e laico: l’Islam è totalitario, è cioè una religione sacrale nel senso che è indivisibilmente fede, pratica religiosa e comunità temporale”. Di conseguenza, rispetto allo Stato moderno, Lahbabi dichiara di prediligere nettamente il Califfato. Lo Stato infatti spersonalizza i popoli e distrugge l’autonomia degli individui, “al contrario, il Califfo non è investito da alcuna forza particolare: egli è il luogotenente di Dio, tanto che si sottomette alla Legge del Corano e della Sunna”.(...)
Quelli che sognano una modernizzazione dell’Islam, possono continuare ad aspettare.

A questo link, la recensione completa de "Il personalismo musulmano", di Mohammed Lahbabi (Jaca Book) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di mercoledì 29 novembre. 
https://www.ilfoglio.it/una-fogliata-di-libri/2017/12/16/news/il-personalismo-musulmano-aziz-lahbabi-una-fogliata-di-libri-169217/

domenica 10 dicembre 2017

“L’insulto” è un film di buoni sentimenti. Antisemiti.

“L’insulto”, nelle sale in questi giorni, è un buon film, ben diretto e ben recitato, pieno di buoni sentimenti, tranne uno: l’odio verso gli ebrei.
Ambientato a Beirut, è incentrato su un processo che vede contrapposti un arabo cristiano e un palestinese. Da un banale diverbio nasce un insulto: “Sei un cane!”. Basterebbe chiedere scusa, invece arriva anche un pugno. Si va in tribunale, poi ancora in appello. Perché i due protagonisti non riescono a rappacificarsi, e neppure a comunicare? Perché entrambi hanno sofferto troppo – è la tesi del film - per i torti e le ingiustizie patite. Il dramma, in un crescendo incalzante, rivela fatti ed episodi storici che riemergono dal lontano passato.
Si scoprirà che nel ‘70, in Giordania, il palestinese dovette assistere alla brutalità con la quale l’esercito regolare liquidò i miliziani dell’Olp, con migliaia di vittime anche fra i civili. E che pochi anni più tardi, nel 1976, il cristiano maronita era un bambino quando fu fatta la pulizia etnica del suo villaggio, all’inizio della lunga e sanguinosa guerra civile libanese.
Per questo i due protagonisti (il primo sembra un leghista cattivo, il secondo un immigrato buono) tuttora si odiano: fanno fatica a perdonare e a comprendere appieno il dolore dell’altro. A ben vedere, in fondo all’animo, sono tutti buoni. Tutti, tranne gli ebrei.
Il film inneggia alla convivenza pacifica, alla comprensione reciproca, al dialogo, alla solidarietà umana: ma solo fra arabi. Tutto questo, per gli ebrei non vale. Quando l’avvocato cristiano vuole denigrare i palestinesi, dice: “Sono carnefici che vogliono atteggiarsi a vittime, e sappiamo bene da chi hanno imparato…!”. Quando scoppiano disordini di piazza, si vede un manifesto in cui il querelante cristiano è ritratto con cernecchi, cappello e cappotto neri. Questa è l’ingiuria: ebreo. Quando in aula si alza il tumulto, qualcuno dal pubblico grida all’avvocato. “Cane sionista!” e solo allora lui perde le staffe e si avventa contro l’insultatore, trattenuto a stento da poliziotti e amici. E per colmo dello sfregio, sull’officina del protagonista arabo cristiano qualcuno traccia, di notte, la Stella di Davide.
L’elenco sarebbe lungo, ma fermiamoci qui. Solo una domanda: tutte le belle parole del finale, l’invito a capirsi, a condividere la sofferenza altrui, al dialogo, alla comprensione, alla capacità di chiedere scusa e di perdonare, tutto questo…. per gli ebrei non vale?

Questo film arabo-pacifista rievoca i bei tempi andati, il Libano di una volta, la “Svizzera del Medio Oriente” pluralista e neutrale. Ma non dicendo tutta la verità, in realtà mente. Piacerà molto in Europa.