mercoledì 31 luglio 2019

"Il nemico innocente", a cura di Milena Santerini


“Non è difficile constatare la maggiore facilità e penetrazione del discorso d’odio rispetto a quello positivo (...) I contenuti ostili, provocatori, volgari, diffamatori sono più cliccati, hanno maggiore audience e quindi ottengono i vantaggi relativi alla loro diffusione, compreso il finanziamento dalla pubblicità”. (...)
La parte più interessante del saggio è incentrata sulle manifestazioni on line di odio verso Israele. L’esportazione dell’antisemitismo classico nei paesi arabi, infatti, rischia di provocare una sostituzione di antiche figure con nuovi bersagli. L’antisionismo è la “terza fase” dell’odio antiebraico, scrive Giovanni Maria Flick, dopo l’antigiudaismo cristiano e l’antisemitismo di matrice razziale. Dunque è antisemita chi contesta lo Stato ebraico in quanto tale, nel suo diritto di esistere.
Attraverso Internet si diffonde una nuova forma di odio per gli ebrei, spiega il francese Michel Wieviorka, dovuta all’esistenza dello Stato di Israele, nei paesi arabo-musulmani ma anche all’interno delle società europee (...)

A questo link, la recensione completa di "Il nemico innocente - L'incitamento all'odio nell'Europa contemporanea", a cura di Milena Santerini (Guerini & Associati)

sabato 27 luglio 2019

In memoria di Carlo Augusto Viano

Il 20 luglio scorso è venuto a mancare Carlo Augusto Viano. Aveva 90 anni. Era stato docente di Storia della Filosofia nelle università di Cagliari, Milano e Torino. Fra le molte sue pubblicazioni filosofiche, voglio ricordare in particolare il pamphlet "Laici in ginocchio" (Laterza) del 2006.
"Le religioni sono le principali minacce per la vita degli uomini: giustificano le guerre e reclutano combattenti. Con implacabile lucidità, un laico orgoglioso delle proprie ragioni denuncia l'arrendevolezza della cultura laica, rivendica l'indipendenza dal clero, smaschera i tabù additati come valori religiosi, difende la pratica di comportamenti diversi da quelli predicati dai pulpiti".
Questo libro mi è stato particolarmente utile, nella battaglia culturale e politica, in difesa del pensiero laico e liberale.
Saluto Carlo Augusto Viano con ammirazione, affetto e riconoscenza.

venerdì 19 luglio 2019

Su Camilleri, letteratura e dintorni


Il 26 febbraio scorso, sul Corriere della Sera, la rubrica Cultura (pagine 42-43) era dedicata a una lunga intervista a Bruno Pischedda, docente di Letteratura italiana contemporanea alla Statale di Milano. Intervista a cura di Paolo Di Stefano (peraltro, apprezzato scrittore). Lo spunto era dato dalla recente pubblicazione del libro di Pischedda “Dieci del Novecento – Il romanzo italiano di largo pubblico dal Liberty alla fine del secolo”, edito da Carocci, che esamina un secolo di best seller italiani.
L’intervista reca il titolo UN CANONE DELLA LEGGIBILITA’ e il catenaccio dice: Liala e Camilleri, Guareschi e il fantasy: vacilla il confine fra libri alti e di svago.
Non potendo riassumere l’intera intervista, mi concentro sull’ultima risposta. Dice Pischedda:
Tra letteratura istituzionale e letteratura di intrattenimento la riduzione delle distanze si è fatta più vistosa. In un tempo non lontano distinguere era facile, tutto sommato: Sciascia o la Morante rappresentavano il prestigio, Chiara o Bevilacqua lo svago disimpegnato. Oggi i due livelli si avvicinano, si compenetrano: accolgono a un medesimo titolo Michele Mari, Paolo Cognetti, Elena Ferrante, Roberto Saviano e Donato Carrisi. Distinguere, a queste condizioni, sembrerebbe un azzardo. Camilleri, per dirne soltanto uno: dove lo mettiamo, nella letteratura istituzionale o in quella di intrattenimento? Io con la serie dedicata a Montalbano l’ho messo nel romanzo di intrattenimento (e così ho fatto con la Fallaci). Non credo che tutti siano d’accordo”.
Ecco, io invece sono d’accordo come Pischedda. In un post su fb, ho accomunato Camilleri e De Crescenzo in questo genere letterario di massa, c.d. “di svago e di intrattenimento”, suscitando una bella discussione e anche qualche vivace reazione polemica. Anch’io non mi aspettavo affatto che tutti fossero d’accordo con me, ma questo autorevole parere - insieme a quello di alcuni altri – mi rafforza nella mia convinzione.

mercoledì 10 luglio 2019

"La strage di San Bartolomeo", di Stefano Tabacchi

Qui di seguito, la mia recensione di "La strage di San Bartolomeo", di Stefano Tabacchi (Salerno Editrice) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di ieri.


La “notte di sangue a Parigi”, fra il 23 e il 24 agosto 1572, non fu un “evento unico”. Nessun fatto storico infatti può essere esaminato, avulso dal contesto in cui si è determinato. Con impeccabile rigore storiografico e un’ammirevole capacità di sintesi, Stefano Tabacchi ricostruisce gli avvenimenti cruciali di un momento decisivo della storia moderna, tuttora di grande interesse e attualità.
Nel periodo di cui si parla, il ventennio fra il ‘60 e l’80 del XVI secolo, in Francia divampano numerose e terribili guerre di religione. L’autore ne enumera ben sette: tre precedenti e quattro successive alla notte di San Bartolomeo. Il popolo è diviso in due partiti: quello ugonotto, guidato da Coligny, dal principe di Condé e da Enrico di Borbone; e quello cattolico, che ha per leader il duca di Guisa. La monarchia, che vuole l’unità del regno, tenta una difficile mediazione, ma tutte le paci firmate in questo periodo si rivelano fragili e instabili. Gli ugonotti sono due milioni, il 10 per cento della popolazione.
Carlo IX, spalleggiato dalla regina madre Caterina de’ Medici, punta alla pacificazione attraverso la politica matrimoniale. Dapprima il Condè sposa la cattolica Maria di Clèves, poi il 18 agosto - quattro giorni prima della strage - Margherita di Valois, sorella del re, va in sposa a suo cugino Enrico. Gli ugonotti sono ospiti a corte e tutto sembra andare per il meglio, quando Coligny rimane ferito in un misterioso attentato. Il partito protestante si ribella e tenta di costringere il sovrano a intervenire. Messo alle strette, Carlo IX decide di eliminare Coligny per ripristinare l’ordine, ma la scelta si rivela improvvida e controproducente. Dilaga la violenza, la plebe si scatena, la situazione va fuori controllo. La grande mattanza degli ugonotti, sostiene l’autore, non risponde a un disegno prestabilito dall’alto, anzi divampa contro la volontà del re, che non riesce a imporre la calma. Episodi di inaudita ferocia vengono riportati da Tabacchi nei più macabri particolari – del resto, erano piuttosto frequenti e tipici di quell’epoca.
L’assassinio di Coligny fu dunque un “coup de majesté”, una forzatura politica, mentre la strage imprevista che ne seguì produsse una perdita di autorità per la monarchia. Quella notte sancì il fallimento di tutti i tentativi di mediazione, la strategia della tolleranza si rivelò impossibile.
Ben lungi dal “purificare” la Francia, come si è visto, la strage di San Bartolomeo portò ad altre quattro guerre di religione. Tabacchi accosta l’eliminazione di Coligny a un altro grande misfatto reale, 15 anni più tardi: il celebre assassinio del Guisa, nel 1588, avvenuto nel castello di Blois su ordine di re Enrico III, che sarà a sua volta assassinato l’anno dopo.
Solo la vittoria finale degli ugonotti e dei cattolici “mediatori” loro alleati, guidati da Enrico di Borbone, e la successiva conversione di questi al cattolicesimo, varranno a ripristinare l’autorità monarchica e porranno le premesse per una riforma dello Stato.
“Si rimodellò fortemente il ruolo della monarchia, che sempre più fu oggetto di attacchi da parte degli opposti partiti, ma che riuscì ad affermarsi come centro di elaborazione di una teologia della ragione e della neutralizzazione dei conflitti politici. Una sorta di religione laica che contribuì a fondare l’assolutismo regio”.
Attenzione però alle fughe in avanti, avverte Tabacchi: dopo i sanguinosi attentati che hanno sconvolto la Francia di recente, gli accostamenti a fondamentalismo islamico, terrorismo, Isis, sono insostenibili e fuorvianti.

lunedì 1 luglio 2019

"Il tango", di Jorge Luis Borges

Le registrazioni di quattro conferenze sul tango, tenute nel lontano 1965 e dissepolte quasi per caso di recente, ci offrono un inedito Jorge Luis Borges, “uno dei grandi maestri della letteratura di tutti i tempi”, come è scritto nella prefazione dell’edizione originale. (...)
Il tango nasce intorno 1880 a Buenos Aires, inizialmente suonato con pianoforte, flauto e violino: strumenti non proprio alla portata di tutti, come invece era la chitarra. Il tango dunque non nasce in ambienti poveri e popolari, bensì nella case di malaffare - come il jazz, del resto, pochi decenni più tardi negli Stati Uniti.
“Il popolo, all’inizio, rifiuta il tango – spiega Borges – perché ne conosce l’origine indecente (...) Spesso coppie di uomini ballavano il tango perché le donne del popolo ne conoscevano la radice e non volevano ballarlo. Al contrario di quella specie di romanzo sentimentale creato dal cinema, non è il popolo che inventa il tango, non è il popolo che lo impone alla gente perbene. Accade esattamente il contrario”. (...)

A questo link, la mia recensione integrale di "Il tango", di Jorge Luis Borges (Adelphi) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di mercoledì 19 giugno.
https://www.ilfoglio.it/una-fogliata-di-libri/2019/06/19/news/il-tango-261125/