venerdì 22 settembre 2023

Ispirazione genocida

Qui di seguito, l'articolo a mia firma apparso sul quotidiano Il Foglio di ieri, dal titolo "Ispirazione genocida - Così lo sterminio turco degli armeni rese possibile e realizzabile la Shoah. Un saggio".

“Il genocidio armeno è l’inizio degli orrori del Novecento, e la sua connessione con la Shoah è ormai indiscutibile”. Così la filosofa americana Siobhan Nash-Marshall introduce “Giustificare il genocidio”, un libro di grande rilievo storiografico, che meriterebbe di essere studiato in tutte le università del mondo. L’autore, Stepan Ihrig, è uno storico tedesco, attualmente direttore del Centro di studi germanici ed europei di Haifa, Israele. Pubblicato nel 2016 dall’Università di Harvard, il corposo volume (quasi 500 pagine) esce ora in Italia edito da Guerini, con il sottotitolo “La Germania, gli Armeni e gli Ebrei da Bismarck a Hitler”.

Solo se si approfondiscono le lontane origini del nazionalismo tedesco, della sua malintesa “realpolitik”, del suo disprezzo razziale che accomuna armeni ed ebrei, si riesce a rintracciare il filo rosso che conduce dai massacri ottomani di fine Ottocento ai forni di Aushwitz.

Già nella Germania guglielmina, infatti, Bismarck è il grande protettore del Sultano, difende a ogni costo il suo operato, tutela l’impero in disfacimento dagli appetiti delle potenze europee. Quando nel “biennio rosso” 94/96 Abdul Hamid dà il via ai massacri su larga scala degli armeni, la stampa nazionalista tedesca tende a occultare e minimizzare, parla di fatti di lieve entità, scarica le responsabilità sui “predoni curdi”. I morti sono fra i cento e duecentomila, e proprio l’impunità garantita al sanguinario Sultano indurrà i suoi successori all’ideazione del progetto genocidario.

Secondo la propaganda nazionalista e filo-turca, gli armeni sono gli “ebrei d’Oriente”, anzi “super-ebrei”: gente falsa, infida, mercanti dediti a loschi traffici, allo sfruttamento e all’usura. Come gli ebrei, anche gli armeni sono gente senza patria, pronta a tradire. I massacri rappresentano dunque una risposta necessaria, e pertanto giustificabile, al rischio reale di disfacimento dell’impero.

Allo scoppio della guerra, il regime dei Giovani Turchi avvia processo di sterminio e di nuovo la Germania sostiene l’alleato, allineandosi al negazionismo ufficiale. I massacri avvengono sotto gli occhi dei militari e dei diplomatici tedeschi. Le “deportazioni” sono lo strumento preordinato, intenzionale e sistematico per la completa cancellazione del popolo armeno.

La stampa tedesca – con poche eccezioni - giustifica l’operato dei turchi, accusa gli armeni di tradimento e di intelligenza con il nemico russo. Non esistono prove di una corresponsabilità diretta nella decisione di sterminare gli armeni, ma certo la Germania è “lo spettatore silenzioso, lo scudo protettivo, il facilitatore degli ottomani”.

Dopo la guerra, grazie soprattutto agli scritti di Johannes Lepsius e Armin Wegner, l’opinione pubblica tedesca viene messa al corrente dell’accaduto. Il libro ricostruisce minuziosamente il processo e l’assoluzione di Soghomon Tehlirian, l’armeno che ha giustiziato il triumviro Talat Pasha nelle strade di Berlino (1921). La Germania è scossa. Poiché il genocidio non può più essere negato, la propaganda nazionalista passa dal negazionismo al giustificazionismo. Agli armeni si imputa la famigerata “pugnalata alle spalle” - la stessa accusa che sarà poi rivolta agli ebrei. Di nuovo, si sottolineano le caratteristiche “razziali” degli armeni, accomunati ai loro “cugini semiti”. Il genocidio è apertamente riconosciuto come atto di “legittima difesa”, preparando il terreno per la Shoah.

Hitler detesta gli armeni quasi quanto gli ebrei, ammira svisceratamente Kemal Ataturk, afferma e scrive in varie circostanze - qui rigorosamente documentate - di ispirarsi alla “soluzione turca”. Il rapporto fra nazionalismo turco e nazismo tedesco è di centrale importanza, dal punto di vista ideologico, e questo collegamento viene analizzato in dettaglio nel corso del volume.

“Come questo libro ha dimostrato – scrive Ihrig nelle conclusioni – il genocidio armeno deve aver insegnato ai nazisti che crimini così incredibili potevano restare impuniti (...) Il fatto che si potesse ‘farla franca’ deve avere costituito un precedente di grande ispirazione (…) Il genocidio armeno aveva reso il genocidio pensabile e, a quanto pare, giustificabile”.

Franz Werfel termina il suo romanzo in tutta fretta, fra il ’32 e il ’33, nel tentativo di metter in guardia il popolo tedesco, ma ormai è troppo tardi: i nazisti sono al potere e il libro finisce al rogo. I quaranta giorni del Mussa Dagh sarà però di ispirazione per gli ebrei e per la loro disperata resistenza, nei ghetti di tutta Europa.

venerdì 15 settembre 2023

La commedia cosmica, di Frank Westerman (Iperborea)

Qui di seguito, la mia recensione di La commedia cosmica, di Frank Westerman (Iperborea) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di mercoledì scorso.

Prende le mosse da Galileo e dalla Santa Inquisizione, l’interessante viaggio di Frank Westerman – giornalista olandese maestro nella saggistica narrativa – attraverso la “commedia cosmica”, la storia affascinante ma anche grottesca dell’uomo alla conquista dell’universo.

L’osservatorio radioastronomico di Westerbork, in Olanda, sorge sul terreno di un  campo di concentramento nazista, da cui transitarono oltre 100.000 ebrei, prima di essere deportati e soppressi ad Auschwitz e Sobibor. “La Mission Control C, mi resi conto in quel momento, si trovava esattamente di fronte all’ex baracca 56, dove Anna Frank e la sua famiglia furono messi ai lavori forzati”. I buchi neri del cosmo catturano la materia, il buco nero di Westerbork ingoiava esseri umani. L’osservatorio e il lager sono due centri nevralgici: uno in commessione diretta con l’inferno, l’altro con il cielo alla ricerca dell’infinito. “Il Giano bifronte dell’umanità”.

All’inizio del ‘900, Schiapparelli osserva i canali di Marte, così lineari da fare pensare all’opera di esseri intelligenti. Nasce la mania dei “marziani”, che affascina i futuristi e le persone suggestionabili, fra le quali un tale Percival Lowell, ricchissimo, pacifista e vegetariano. Imbevuto di positivismo, costui sostiene che “la scoperta delle verità nello spazio non differisce, se non nell’oggetto dell’indagine, dalla scoperta dei crimini sulla Terra”. Lowell ammonisce a distinguere la “mera congettura” dal risultato di un ragionamento logico, e afferma che quelli di Marte sono canali irrigui, dunque necessariamente provvisti a metà strada di impianti di pompaggio: un perfetto esempio di ragionamento logico.

Il russo Leonov fu il primo uomo a uscire dalla sua navicella per una passeggiata nel vuoto. Ma solo dopo la fine del comunismo si seppe com’era andata davvero: una disavventura tragicomica, fortunatamente a lieto fine. Come del resto quella di Sergej Krikalev, lanciato con la Mir all’epoca del crollo sovietico, costretto a bivaccare mesi nello spazio, perché a terra non c’era più chi potesse prendere le decisioni. Ritornò solo nel ’92, con addosso le insegne di un impero che non esisteva più.

L’azienda olandese MarsOne, fallita nel 2019, in poco tempo ha raccolto l’adesione di oltre 10.000 volontari pronti a trasferirsi su Marte. Ma per fortuna ora in India si fabbricano robot umanoidi, che saranno lanciati nello spazio alla ricerca di nuovi mondi - mentre il nostro chissà che fine farà. “Chi potrà impedire che un giorno negli insediamenti extra-terrestri Caino uccida suo fratello Abele?”.

domenica 10 settembre 2023

Colloqui con Guglielmo Ferrero (Edizioni Il Foglio)

Qui di seguito, la mia recensione di "Colloqui con Guglielmo Ferrero", di Bogdan Raditsa (Edizioni Il Foglio) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di ieri.

“Di tutte le stravaganze e le fantasie che furono messe in giro da un secolo e mezzo, sotto il nome di filosofia della storia, sfido chi si sia a trovar traccia nell’opera mia: sfido specialmente a trovar traccia della illusione (…) che nel campo della storia si possano trovare leggi simili a quelle che governano i fenomeni della natura”.

Basterebbe questa affermazione, forte e chiara, di Guglielmo Ferrero (1871-1942) a spazzare via qualsiasi ipotesi di una sua connivenza con il positivismo. E invece no: questa accusa gli fu rivolta, da Croce da Gramsci e da altri, condizionata forse dal fatto che egli sposò la figlia di Cesare Lombroso, Gina, e che il fondatore dell’antropologia criminale effettivamente ebbe un ruolo importante nella sua formazione universitaria.

Considerato un pensatore “minore” dai pochi studiosi che se ne sono occupati, Ferrero fu un intellettuale eclettico e originale della prima metà del Novecento, sicuramente liberale e fermamente antifascista. Di recente è stato citato in termini positivi da Giuseppe Berti nella sua splendida antologia “Crisi della civiltà liberale e destino dell’Occidente” (Rubbettino) suscitando anche l’attenzione di Dino Cofrancesco. Ferrero fu storico dell’antica Roma, poi saggista e commentatore politico, infine romanziere; Carlo Gambescia, curatore di questo saggio, lo arruola d’ufficio fra i “sociologi della libertà”.

Nell’analizzare i sistemi di potere del passato e del presente, Ferrero individua la categoria della “paura reciproca” di governati e governanti: i primi chiedono “securitas” ai secondi, questi ultimi invece temono di perdere il potere e chiedono il consenso. Da qui scaturisce il principio di legittimità, che non può mai essere eluso, in qualsiasi sistema di governo, pena la sconfitta della civiltà e il ritorno alla barbarie.

All’origine della società e dei processi storici vi è sempre “un’interazione fra individui; interazione i cui effetti di ricaduta collettiva, contenutistici, non sono previsti dagli individui stessi. Pertanto è l’individuo che crea, inconsapevolmente, le istituzioni”. Da questa impostazione scaturisce una sorta di “mano invisibile sociologica”. Insomma Ferrero è “un pensatore concreto che resta a guardia dei fatti. Perciò quanto di più lontano dall’ottimismo positivistico-stadiale (…) Quindi si muove nella libertà e a difesa della libertà”. Fu uno scienziato sociale, consapevole dei limiti delle scienze sociali.

Questi Colloqui con il genero, Bogdan Raditsa, usciti nel 1939, sono oggi un’opera rarissima, difficile da reperire persino nelle biblioteche. Oltre ai Colloqui, il saggio contiene due Discorsi dello stesso Ferrero, uno incentrato sugli insegnamenti da trarre dalla grandezza e decadenza dell’antica Roma (“La storia, come tutti i fenomeni della vita, è l’opera inconsapevole di sforzi infinitamente piccoli”) l’altro sulla figura e sul pensiero di Niccolò Machiavelli.

giovedì 7 settembre 2023

"La questione ebraica nella società postmoderna", di Emanuele Calò

Qui di seguito, la mia recensione di "La questione ebraica nella società postmoderna", di Emanuele Calò, pubblicata in seconda pagina sul quotidiano Il Foglio di stamane.

E’ un pozzo senza fondo, il recente saggio di Emanuele Calò su “La questione ebraica nella società postmoderna” (Edizioni Scientifiche Italiane, 500 pagine, 60 euro). Il proposito di percorrere “Un itinerario fra storia e microstoria”, come da sottotitolo, è ben rappresentato dalle oltre 1400 note che accompagnano il testo: una vera e propria miniera di riferimenti bibliografici, excursus letterari, micro-biografie, testimonianze, aneddoti.

Calò affronta la questione ebraica a partire dalla storia del Ghetto, dalla bolla “infame” di Paolo IV (1555) all’Editto sopra gli ebrei di Pio VI (1775) “la pagina più nera della storia dell’umanità”. Nel 1579, “il lunedì da sei giudei ignudi et sigillati in fronte (come al solito) si corse lo pallio; dopo queste bestie bipedi correranno le quadrupedi”.

Qualunque altra stirpe in tali condizioni sarebbe scomparsa, incapace di sopportare un disprezzo così profondo – scrive l’autore - ma gli ebrei ne furono capaci, e si conservarono, indistruttibili, nel cuore stesso del cattolicesimo.

Le tesi di Marx sulla questione ebraica vengono liquidate con precisione, unitamente all’intero impianto dello storicismo marxista. Analogamente, Calò si libera con ironia della tesi di  Freud su un “Mosè egiziano”: “Questa sua ricostruzione, poco credibile e per nulla condivisa, getta più una luce freudiana su Freud che sull’oggetto del suo studio”. Per contro, “la ferocia hitleriana sconvolse Freud come umanista, ma non come pensatore, avendo egli sempre negato la supremazia della cultura sull’istinto di distruzione, che riteneva impossibile eliminare dall’animo umano”. Sartre, da parte sua, avverte che “gli antisemiti si divertono”, perché l’antisemitismo è una passione, mentre Einstein suggerisce causticamente di lasciare l’antisemitismo ai non ebrei (anche se il codazzo degli ebrei che si aggregano, commenta Calò, è “ontologicamente ineliminabile”). Quanto a Irene Némirovsky, la sua produzione letteraria potrebbe indurre a incasellarla come ebrea antisemita, ma in realtà l’ebraismo era l’ultimo dei suoi problemi, perché il primo era la madre (che infatti dopo la Shoah respinse le nipoti, urlando loro da dietro la porta di rivolgersi a un orfanotrofio).

Il terzo capitolo, dedicato all’Olocausto, è il più significativo e naturalmente il più doloroso. Il libro rievoca la conferenza di Evian (luglio 1938, 32 Stati partecipanti) convocata da Roosevelt per affrontare il problema dei profughi ebrei, che nessuno vuole accogliere. “Poche volte nella storia si è assistito a uno spettacolo più miserando”. Recordman dell’ignavia è il rappresentante australiano: “Non abbiamo problemi razziali in Australia e non vogliamo importarne uno”. E’ certamente curioso, annota l’autore, che Hitler, pur avendo la prova inoppugnabile del disinteresse mondiale per gli ebrei, abbia continuato a credere fino alla fine dei suoi giorni che gli ebrei controllassero il mondo.

Nella famigerata conferenza di Wannsee, emerge che l’impegno nazista alla espulsione degli ebrei è arrivato a quota 537.000, ma è bloccato dai rifiuti dei paesi destinatari. “In quel momento per i nazisti lo sterminio non era indispensabile; ne avrebbero fatto a meno se il mondo avesse accolto gli ebrei”.

Il volume infine affronta le controversie storiche e giuridiche concernenti le guerre e la statualità di Israele, la definizione di antisemtismo dell’Ihra, la campagna discriminatoria del BDS, i pronunciamenti della Cedu. Nel complesso, una monumentale summa di storia, letteratura, filosofia, politica e diritto, un poderoso strumento di conoscenza e riflessione contro l’antisemitismo eterno.