domenica 1 ottobre 2023

Il sionismo americano fra le due guerre mondiali

Qui di seguito, la mia recensione di "Il sionismo americano fra le due guerre mondiali", AA.VV. (Ed. Le Lettere) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di venerdì 29 settembre. 

Tre studiosi autorevoli e assai ben documentati esplorano un capitolo minore, o meglio meno conosciuto, della storia epica del movimento sionista. Accanto al più noto sionismo europeo – quello fondato da Herzl, guidato da Weizmann e realizzato da Ben-Gurion – vi fu infatti un sionismo americano, che molto diede all’altro non solo in termini finanziari, ma anche organizzativi, progettuali e realizzativi. Leader carismatico e protagonista assoluto dell’ebraismo d’oltre Atlantico fu Louis Brandeis, il primo ebreo americano a essere nominato membro della Corte suprema.

Nella prima parte, David Elber analizza le tappe fondamentali del percorso che porta al riconoscimento internazionale del sionismo, dalla dichiarazione Balfour (1917) ratificata da Wilson l’anno successivo, al trattato di Versailles (1919) fino alla conferenza di Sanremo (1920) con il Mandato britannico per la Palestina – “mandato”, ricorda Elber, conferito al preciso scopo di concorrere alla creazione di una “National Home” per il popolo ebraico. Sono questi passaggi a legittimare compiutamente la nascita di Israele, nell’ambito della comunità internazionale. Un percorso irto di ostacoli, se solo si pensa che il laico e anticlericale Clemenceau, vedendo minacciati gli interessi francesi in Medio oriente, non riesce a dire a Weizmann altro che queste parole: “Noi cristiani non possiamo perdonare gli ebrei per avere crocifisso Cristo”.

Nella seconda parte, Antonio Donno ricostruisce le vicende che portano allo scontro fra i sionisti delle due sponde dell’Atlantico. Brandeis è il tipico ebreo americano assimilato: efficientista, economicista, concreto e pragmatico. Egli scopre il sionismo dopo i cinquant’anni, un’autentica rivelazione, e riversa nel movimento le sue grandi doti organizzative e gestionali. Per Brandeis, sionismo e americanismo sostanzialmente coincidono: una visione piuttosto ingenua, alla  luce della tragica condizione degli ebrei europei. Al termine della prima guerra mondiale, Brandeis ha l’immenso merito di convincere Wilson a sottoscrivere ufficialmente la dichiarazione Balfour, malgrado l’opposizione del segretario di Stato Lansing.

Infine, Giuliana Iurlano analizza a fondo le personalità di Weizmann e Brandeis, e il loro inevitabile “scontro fra giganti” nella convenzione di Baltimora (1920) che porterà a un indebolimento del sionismo mondiale per oltre un decennio. Brandeis viene criticato per essere un “silent leader”, assente nei momenti cruciali a causa del suo prestigioso incarico, e viene sfiduciato insieme a tutta la sua corrente. A posteriori, tuttavia, molte delle sue proposte e indicazioni saranno riprese e recepite nella costruzione dello Stato ebraico. Sarà proprio Weizmann a definire le sue differenze con Brandeis come “un revival, in una nuova forma e in un nuovo paese, della vecchia scissione fra Est e Ovest”, nell’ebraismo e nel sionismo.