sabato 23 dicembre 2023

Uomini contro, di Mirella Serri (Longanesi)

Qui di seguito, la mia recensione di "Uomini contro. La lunga marcia dell'antifemminismo italiano", di Mirella Serri (Longanesi) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di mercoledì 20 dicembre.

Nel ricostruire “La lunga marcia dell’antifemminismo italiano”, Mirella Serri prende spunto da una riunione di Direzione del Partito comunista italiano, neanche tanto “storica”. Siamo nel 1961, all’ordine del giorno vi è, fra le altre cose, la nomina di Nilde Jotti alla presidenza della Commissione femminile.

La candidata viene sottoposta a un fuoco di fila di reprimende insopportabili. Amendola fa riferimento alle “questioni personali e familiari già note”; Berlinguer rincara: “Non sono sicuro che possa portare a quel posto di direzione la serenità necessaria”; Pajetta parla esplicitamente di “difetti” che Jotti dovrà “correggere e superare”.

La tesi di Serri è che le donne abbiano dovuto affrontare, dopo la Resistenza e fino agli anni Duemila, un autentico “contrattacco” da parte degli uomini al potere (comunisti, democristiani, berlusconiani) nel tentativo, in parte riuscito, di contrastare la “democrazia paritaria” prefigurata dalla Costituzione.

La storia che lega Jotti al leader storico del Pci, Palmiro Togliatti, è ricostruita nei dettagli. Quando nasce l’idillio, nel ’46, lei ha 26 anni e lui 53. Il Migliore scarica la moglie tra la riprovazione generale dei dirigenti del partito – molti dei quali però si comportano anche peggio. Nilde non avrà mai vita facile: nel ‘48 le viene imputato l’insuccesso elettorale di aprile e l’attentato al segretario a luglio. Solo nel 1979 avrà il meritato riconoscimento, con l’elezione alla presidenza della Camera.

L’altra figura centrale del saggio è quella di Julius Evola, filosofo nazi-fascista, misogino e antisemita. Evola piace al Duce e a Hitler, e sarà il grande ispiratore di un’intera generazione di neofascisti ostili all’Italia repubblicana, compresi gli stupratori del Circeo. L’autore di “Rivolta contro il mondo moderno” (1934) è uno snob, aristocratico e solitario, pittore dadaista e avvezzo alla cocaina. Grande appassionato di orge sessuali promiscue, ammira D’Annunzio e Oscar Wilde. I suoi nemici giurati sono gli ebrei e, inutile dirlo, le donne emancipate.

Particolarmente interessante è il filo che collega il pensiero di Evola al presidente/dittatore Vladimir Putin, la cui “legge sugli schiaffi” ha depenalizzato la violenza domestica in Russia, derubricandola a infrazione amministrativa. E’ Alexsander Dugin, l’ideologo di Putin, a tradurre Evola in russo e a introdurlo nel dibattito pubblico, in una sorta di mescolanza perversa fra fascismo russo e neo-stalinismo.

“La lunga marcia dell’antifemminismo italiano è approdata in Russia e alimenta l’ostilità nei confronti del sistema democratico dell’Occidente”.


domenica 17 dicembre 2023

"La Shoà e le sue radici", di Ugo Volli (Marcianum Press)

Qui di seguito, la mia recensione di "La Shoà e le sue radici", di Ugo Volli (Marcianum Press) pubblicata nell'inserto del sabato del quotidiano Il Foglio di ieri con il titolo: "Nulla sarà mai come la Shoah. La civile Europa non rifiutò affatto il genocidio. Un libro."

“Fra tutti i miei libri, questo è forse quello che mi è costato di più sul piano emotivo. (…) Non è una ricerca storica originale né una teorizzazione innovativa (…) Molto più modestamente, si tratta di una guida didattica”.

In verità non c’è nulla di modesto, in questa completa, circostanziata e ben documentata ricostruzione di Ugo Volli, “La Shoà e le sue radici” (Marcianum Press, 226 pagine, 23 euro). Tutt’altro.

Dal confronto con altri genocidi riconosciuti, come quello armeno, emergono subito numerose differenze specifiche: la Shoà è stata un genocidio del tutto fine a se stesso, volto a eliminare qualsiasi individuo anche solo di lontana origine ebraica, comprese le donne e i bambini, per estirpare la “razza ebraica”, cioè una presunta caratteristica biologica; ancora, la Shoà non ha riguardato un popolo straniero, ma concittadini integrati da secoli nelle società europee; infine ha avuto, al suo culmine, una modalità “industriale”.

Nel 1937 Hitler è ancora prudente: “Non voglio costringere subito un nemico a combattere, ma dico: ‘Voglio distruggervi!’ Con la mia astuzia vi sto stringendo in  un angolo in modo tale che non riusciate a sparare un solo colpo; ed è allora che arriverà la coltellata al cuore”.

A quell’epoca, spiega Volli, l’obiettivo immediato del regime nazista non era ancora lo sterminio totale, bensì l’espulsione dal Reich del maggior numero possibile di ebrei. Per quanto colpiti da una serie di divieti insopportabili, e nonostante tutte le pressioni, una parte consistente non volle o non riuscì a fuggire. La conferenza di Evian e il blocco dell’immigrazione in Palestina da parte dell’Impero britannico, chiusero agli ebrei europei ogni possibile via di fuga.

Nel corso della conferenza di Wansee, che implementa i campi di sterminio con l’utilizzo del gas, è l’andamento stesso della riunione a dimostrare che il genocidio non fu affatto la “follia” di un capo isolato, bensì un progetto collettivo, “frutto di un lavoro coordinato, volonteroso, persino entusiasta da parte di persone perfettamente coscienti di cosa stesse accadendo”.

Volli nega pertanto la fondatezza delle tesi di Hannah Arendt: sia la lettura della “banalità” dei gerarchi nazisti, che si sarebbero allineati alle disposizioni di Hitler “senza pensare”, sia l’accusa di collaborazionismo mossa ai Consigli ebraici.

Nella civilissima Europa, la Shoà ha incontrato ben poca opposizione, osserva l’autore. Le popolazioni europee non rifiutarono affatto collaborazione con il genocidio, anzi spesso vi parteciparono attivamente. Molte persone agirono per interesse, ideologia, ma soprattutto per odio, rancore, invidia. Tutto questo, per un substrato di pregiudizi ben consolidati, che precedono di 15 o 20 secoli l’uso di termini moderni quali “razzismo” o “antisemitismo”.

Per contro, la resistenza ebraica al nazismo, l’insurrezione disperata dei ghetti, e “in particolare le rivolte nei campi della morte di Treblinka, Sobibor, Auschwitz-Birkenau (…) ben dopo la fine della guerra determinarono un cambiamento significativo della percezione che la società europea aveva degli ebrei e insieme, che gli ebrei avevano di se stessi”. La nascita di Israele, pertanto, non rappresenta affatto una compensazione della Shoà.

“I carnefici sono riusciti a uccidere molti milioni di ebrei (…) ma non a eliminare il popolo ebraico, che anzi ha reagito alla minaccia mortale proveniente dall’Europa invertendo il percorso della diaspora e riedificando un proprio stato nazionale dopo millenovecento anni di esilio”.

Questo “percorso didattico” dovrebbe essere adottato in tutte le università italiane, ma purtroppo non accadrà.