venerdì 22 maggio 2020

"Il fantasma dell'Opera", di Quirino Principe (Jaca Book)


Il titolo non tragga in inganno: il romanzo del 1910 di Gaston Leorux, da cui sono poi derivate un centinaio di versioni teatrali e cinematografiche, non c’entra affatto. Il “fantasma” di cui si parla qui, e che rischia una malinconica scomparsa, è tutto il Teatro d’Opera, sublime punto d’incontro di note e parole, cioè di musica, canto, poesia e recitazione, l’espressione più alta e bella della cultura occidentale.
Il sottotitolo “Sognando una filosofia”, semmai, è il vero fulcro del saggio – e della vita dell’autore. Nato a Gorizia nel 1935, musicologo, germanista, antichista, dantista, autore e traduttore, poeta e scrittore, Quirino Principe è un erudito fra i più colti d’Italia. Filosofo eccentrico e polemista luciferino, egli scrive in 360 pagine il suo personale “manifesto”, a bilancio di un’intera esistenza spesa a studiare, ricercare, insegnare e divulgare un sapere immenso. Principe affascina il lettore, lo cattura con riferimenti di straordinaria raffinatezza e poi lo sommerge con una miriade di citazioni.
“La mia semplice e immediatamente riconoscibile distinzione è tra musica forte e musica debole, secondo un ordine di significati analogo a quello che ci induce a parlare, in termini filosofici, di pensiero forte e pensiero debole”. La musica forte suscita emozioni, brividi, lacrime agli occhi, rapimenti estatici, mentre il rap, il rock e la disco-music non sono che espressioni di ripetitiva monotonia. La musica è “energia cosmica per eccellenza, misterioso e vibrante logos matematico”. Teatro e musica sono stretti in un nodo d’amore: un’idea irrinunciabile, scrive l’autore, citando L’Amour et L’Occident di Denis de Rougement. “Il Teatro d’Opera è una creazione dell’Occidente, di un Occidente ardito e laico”.
Per questi motivi, la scomparsa della cultura musicale diffusa è una tragedia italiana, ammonisce Principe, che si scaglia con veemenza contro i suoi nemici di sempre: la Chiesa cattolica (“la vera, grande nemica della cultura d’Occidente”) e lo Stato, nelle sue varie articolazioni: la politica ignorante, la magistratura vile e corriva, la scuola in stato d’abbandono, la stolida burocrazia. Per non parlare del fondamentalismo islamico, ovviamente, per cui la musica occidentale è “haram”.
“La musica, il teatro, il teatro musicale, il teatro d’opera sono oggi più che mai le vittime sacrificali di un coacervo di poteri ottusi e arroganti, rozzi e analfabeti, statali ed ecclesiastici: la ‘puttana sciolta’ dell’allegoria dantesca si è strettamente impadronita degli ‘instrumenta regni’. Di conseguenza una battaglia per la musica è la prima fra quelle che dobbiamo combattere”.
Un compito doveroso specialmente per noi italiani, poiché la nostra lingua è fondamentale per l’ascolto della musica. L’Italia ha donato al mondo civile la maggior parte del lessico musicale usato nel mondo; in particolare, è tutta italiana la nascita del teatro d’opera. L’italiano non è soltanto la nostra lingua, essa è noi: “Senza la lingua italiana, noi italiani non siamo”.
E dunque: “Combattere per la musica e in nome della musica è un dovere (…) Chi reagisce all’aggressione contro la musica, difende l’oggetto più nobile che la civiltà fondata sul ‘logos’ (tale è l’Occidente, le cui radici sono elleniche e non cristiane) possieda (…) Si combatte per difendere ciò che si ha di più prezioso, l’oggetto senza il cui possesso l’esistenza non è degna di essere vissuta. Combattere in nome della musica e per la musica è combattere per i supremi significati della nostra cultura (…) In questo dovere – conclude Quirino Principe - si concentra il mio impegno morale”.

(Questa mia recensione è stata pubblicata sul quotidiano Il Foglio di venerdì 22 maggio; non compare nell'edizione on line)

venerdì 15 maggio 2020

A proposito di conversioni forzate


A proposito di conversioni forzate, leggete cosa scrive il teologo Abu Hamid al-Ghazali, morto nel 1111, tutt'ora considerato il massimo teorico dell’Islam, colui che sconfisse i filosofi suoi contemporanei, costringendo Averroé a morire in esilio a Cordoba.
“Certo non è bene che si eserciti una pressione in materia religiosa; ma bisogna riconoscere che la spada o la frusta sono talvolta più utili della filosofia e delle convinzione. E, se la prima generazione non aderisce all’islam che con la lingua, la seconda aderirà anche con il cuore e la terza si considererà come musulmana da sempre”.
E’ ciò che di fatto avvenne, nei territori sotto il dominio arabo-musulmano e poi nell’Impero Ottomano.

sabato 9 maggio 2020

Céline: grande scrittore, uomo spregevole


Ho finalmente letto Viaggio al termine della notte, un grande romanzo, uno dei più innovativi della letteratura francese del ‘900. Penso che solo un essere spregevole, come in effetti fu Céline, potesse arrivare a descrivere così bene quell’umanità sordida e meschina, immersa in “una miseria morale che è ancora peggiore di quella materiale”, come è stato scritto. Ci riesce, perché anche lui è così. Il protagonista del Viaggio (1932) schiettamente autobiografico, è appena meno colpevole degli altri personaggi, ma è complice dei loro misfatti, esattamente come Céline sarà complice, in seguito, degli occupanti nazisti e dello sterminio degli ebrei francesi, attraverso i suoi famigerati e odiosi tre pamphlet antisemiti. Alla Liberazione, Céline scappa in Germania, poi in Danimarca, dove si nasconde finché non viene stanato, processato e condannato a un anno di carcere. Tornerà in Francia solo nel 1951, amnistiato, e vivrà in povertà e solitudine fino alla morte nel 1961. Ha scritto altri libri, che ora mi attraggono molto: li cercherò, li leggerò. Céline è sicuramente uno scrittore di straordinario talento, ma il giudizio sulla qualità morale dell’uomo non può cambiare. Alcuni, fra cui Camus e Gallimard, hanno cercato di essere indulgenti, lui stesso in alcune interviste tenta di giustificarsi, presentandosi come un misantropo, un personaggio dolente e bizzarro, un anarchico. No, non scherziamo: nessuno sconto è possibile. Le parole di disprezzo e di odio, l’incitamento alla delazione e allo sterminio degli ebrei francesi sono colpe che non si possono emendare.

mercoledì 6 maggio 2020

"La logica di Hitler", di Ben Novak (Free Ebrei)


Perché Hitler riuscì a salire al potere? Intorno a questo interrogativo, su cui si sono arrovellate intere generazioni di storici e studiosi, si sviluppa il saggio dell’americano Ben Novak, che rielabora e ripropone la sua tesi, incentrata sulla formazione psicologica del capo del nazismo.
Hitler è stato definito via via opportunista, demagogo, pedina del capitalismo eccetera, ma tutte queste definizioni si sono rivelate banali, parziali o errate. Anche le condizioni storiche e sociali della Germania di Weimar, come spiegazione, rappresentano solo una “mezza verità”, e il fatto che Hitler fosse uno psicopatico e sociopatico, affetto da ogni sorta di disordine mentale, non riesce a spiegare come una persona con tali nevrosi e psicosi sia stata in grado di conquistare il potere.
Fu Konrad Heiden, negli anni Trenta, il primo a sostenere che il segreto del successo di Hitler sia consistito “in una forma particolare di logica”, che è stata successivamente identificata con il termine di abduzione. “L’abduzione è una terza forma di logica, in aggiunta e differente dalle due tradizionali forme di logica note dai tempi di Aristotele, cioè la deduzione e l’induzione”.
In realtà, questa terza forma di logica fu teorizzata per primo dall’americano Charles Pierce (1839-1914) che lasciò in eredità migliaia di pagine, solo in parte raccolte in otto volumi e pubblicate a partire dal 1966. L’abduzione è “un tipo di ragionamento che inferisce, dai dati a disposizione, spiegazioni plausibili”. E’ fondata cioè sulla capacità geniale, intuitiva o inventiva di un individuo, di immaginare una spiegazione apparentemente razionale. “La formulazione originale di Pierce del sillogismo abduttivo è la seguente: si osserva il fatto sorprendente C; ma se A fosse vero, C sarebbe naturale; quindi vi è ragione di sospettare che A sia vero”.
Caratteristica fondamentale dell’abduzione è di essere inizialmente immune alla confutazione, ciò che si rivelò particolarmente utile a Hitler. La sua narrazione era falsa, semplicistica e, secondo una logica normale, rozza. Tuttavia Hitler contava sul fallimento di ogni altro partito o uomo politico nell’offrire una spiegazione migliore. Dopo aver preso il potere, il Fuerher fu libero di spiegare “la singolare arte della logica” con cui aveva ingannato i suoi oppositori e critici. Aveva inventato spiegazioni, le aveva amplificate in una visione del mondo e presentate in maniera mendace alla nazione tedesca. Anche se la sostanza era falsa, lui aveva padroneggiato una strana forma di logica, che lo aveva portato al potere.
“I discorsi di Hitler possono essere rifiutati dalla ragione, ma seguono una logica ben più potente, che non può essere smentita. La fonte e il segreto di Hitler può essere finalmente spiegata: fu la sua abilità all’abduzione, la sua capacità di indicare le “cause” della condizione tedesca. Tutti i suoi oppositori e critici ridevano di lui e lo chiamavano illogico. Ma Hitler conosceva una logica i cui meccanismi essi non comprendevano. Il segreto della sua logica era l’abduzione, e con essa egli ha rapito tutta la nazione tedesca”.
Altresì decisive furono, nella forma mentis del dittatore, alcune letture dell’adolescenza, in particolare il romanzo d’avventura e western “Winnetou”, di Karl May, che lo esaltò al punto da fargli smettere di studiare. Fu scioccato anche dall’ascolto, nel 1905 a Vienna, del “Rienzi” di Wagner, ispirato alla figura di Cola di Rienzo: mescolandosi con la gente comune e grazie alla sua eccellente oratoria, costui conquistò le folle di Roma e nel 1347, con il sostegno della Chiesa, divenne dittatore della città.

(Questa mia recensione è stata pubblicata sul quotidiano Il Foglio di martedì 5 maggio; non compare nell'edizione on line)