Qui di seguito, la mia recensione di "Un genocidio culturale dei nostri giorni", AA.VV., (Guerini) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di sabato 6 gennaio.
“Negli
ultimi trent’anni l’Azerbaigian ha causato la distruzione irreversibile del
patrimonio religioso e culturale, in particolare nella Repubblica autonoma del
Nakhichevan, dove sono state distrutte 89 chiese armene, 20.000 tombe e oltre
5.000 lapidi”: così il Parlamento europeo, che con la Risoluzione del 10 marzo
2022 esprime la sua ferma condanna per la sciagurata politica distruttiva del
governo di Baku.
Allo
scopo di documentare dettagliatamente lo scempio avvenuto, e con la recondita
speranza di scongiurarne uno nuovo e peggiore, Antonia Arslan e Aldo Ferrari
curano la pubblicazione di questo volume, che raccoglie testi di un qualificato
gruppo di letterati, archeologi e studiosi. L’opera è volta a dimostrare che
“la piccola e quasi sconosciuta regione del Nakhichevan – attualmente
Repubblica autonoma all’interno dell’Azerbaigian – sia stata per millenni parte
integrante del territorio e della cultura dell’Armenia”, prima del genocidio degli
inizi del Novecento.
Emblematica,
in questo senso, la distruzione dell’antica necropoli medievale di Giulfa, storico
centro armeno sul fiume Arasse (al confine con l’Iran) che ancora all’inizio
del ‘900 contava ben 18 chiese. Questa vasta necropoli era caratterizzata dalla
presenza di migliaia di khachkar, le grandi “croci di pietra” scolpite e
decorate, emblema storico della presenza dell’Armenia cristiana. Dopo gli
scempi di epoca sovietica, nel 1998 l’Azerbaigian decide di procedere a una
sistematica eliminazione delle grandi lapidi, che vengono abbattute, fatte a
pezzi, polverizzate, portate via o buttate direttamente nel fiume Arasse da
reparti regolari di soldati dell’esercito azero. “Queste fasi - scrive Martina
Corgnati - sono tutte documentate e fotografate da rappresentanti della Chiesa
armena, giornalisti e storici dell’arte iraniani e internazionali, spettatori
impotenti del tetro spettacolo che si svolgeva sull’altra riva del fiume”.
L’esigenza
di non dimenticare questo insieme di devastazioni è tanto più forte e
pressante, in quanto collegata al rischio concreto che, dopo la vittoria lampo
del 2020 e la recente pulizia etnica del settembre scorso, l’Azerbaigian
intenda ripetere nel Nagorno Karabakh – che gli armeni hanno sempre chiamato Artsakh
– la stessa politica di spopolamento e genocidio culturale già condotta nel
Nakhichevan.
Se
tutto ciò riguarda passato e presente, ancora più preoccupanti sono le
prospettive future. Nei bellicosi proclami di Baku, sempre più spesso l’intero
territorio della Repubblica d’Armenia viene denominato “Azerbaigian occidentale”,
cioè rivendicato come appartenente di diritto agli azeri. E’ del 2010 la
pubblicazione ufficiale di un libro dal sinistro titolo Il khanato di Erevan.
Nella prefazione, l’attuale presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, scrive:
“Erevan fu consegnata all’Armenia dai russi, ma la maggior parte della
popolazione era azera. Perciò, dal punto di vista storico, questa terra è
nostra”.
Un ennesimo territorio privato della sua storia come se il passare del tempo debba necessariamente cancellare, non “modellare”. Terribile la storia che dimentica e fa dimenticare. Non deve accadere. Preziosi tesori che scompaiono, assorbiti, privati della Storia e dalla Stiria.
RispondiEliminapurtroppo è così. perdite di inestimabile valore, che seguono alla infinita massa di vite sterminate. questo sembra essere il tragico destino dell'antichissimo popolo armeno, circondato da nemici potenti e crudeli.
EliminaHo trovato dei libri di Aldo Ferrari in biblioteca, trattano del Caucaso.
RispondiEliminaAldo Ferrari, mio amico, è studioso molto serio e preparato
EliminaCiao Alessandro, grazie per la risposta! Quando posso, ti chiamo.
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