Qui di seguito, la mia recensione di "Colloqui con Guglielmo Ferrero", di Bogdan Raditsa (Edizioni Il Foglio) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di ieri.
“Di
tutte le stravaganze e le fantasie che furono messe in giro da un secolo e
mezzo, sotto il nome di filosofia della storia, sfido chi si sia a trovar
traccia nell’opera mia: sfido specialmente a trovar traccia della illusione (…)
che nel campo della storia si possano trovare leggi simili a quelle che
governano i fenomeni della natura”.
Basterebbe
questa affermazione, forte e chiara, di Guglielmo Ferrero (1871-1942) a
spazzare via qualsiasi ipotesi di una sua connivenza con il positivismo. E
invece no: questa accusa gli fu rivolta, da Croce da Gramsci e da altri,
condizionata forse dal fatto che egli sposò la figlia di Cesare Lombroso, Gina,
e che il fondatore dell’antropologia criminale effettivamente ebbe un ruolo
importante nella sua formazione universitaria.
Considerato
un pensatore “minore” dai pochi studiosi che se ne sono occupati, Ferrero fu un
intellettuale eclettico e originale della prima metà del Novecento, sicuramente
liberale e fermamente antifascista. Di recente è stato citato in termini
positivi da Giuseppe Berti nella sua splendida antologia “Crisi della civiltà
liberale e destino dell’Occidente” (Rubbettino) suscitando anche l’attenzione
di Dino Cofrancesco. Ferrero fu storico dell’antica Roma, poi saggista e
commentatore politico, infine romanziere; Carlo Gambescia, curatore di questo
saggio, lo arruola d’ufficio fra i “sociologi della libertà”.
Nell’analizzare
i sistemi di potere del passato e del presente, Ferrero individua la categoria
della “paura reciproca” di governati e governanti: i primi chiedono “securitas”
ai secondi, questi ultimi invece temono di perdere il potere e chiedono il consenso.
Da qui scaturisce il principio di legittimità, che non può mai essere eluso, in
qualsiasi sistema di governo, pena la sconfitta della civiltà e il ritorno alla
barbarie.
All’origine
della società e dei processi storici vi è sempre “un’interazione fra individui;
interazione i cui effetti di ricaduta collettiva, contenutistici, non sono
previsti dagli individui stessi. Pertanto è l’individuo che crea,
inconsapevolmente, le istituzioni”. Da questa impostazione scaturisce una sorta
di “mano invisibile sociologica”. Insomma Ferrero è “un pensatore concreto che
resta a guardia dei fatti. Perciò quanto di più lontano dall’ottimismo
positivistico-stadiale (…) Quindi si muove nella libertà e a difesa della
libertà”. Fu uno scienziato sociale, consapevole dei limiti delle scienze
sociali.
Questi Colloqui con il genero, Bogdan Raditsa, usciti nel 1939, sono oggi un’opera rarissima, difficile da reperire persino nelle biblioteche. Oltre ai Colloqui, il saggio contiene due Discorsi dello stesso Ferrero, uno incentrato sugli insegnamenti da trarre dalla grandezza e decadenza dell’antica Roma (“La storia, come tutti i fenomeni della vita, è l’opera inconsapevole di sforzi infinitamente piccoli”) l’altro sulla figura e sul pensiero di Niccolò Machiavelli.
Grazie per i consigli di lettura, cercherò il libro di Giuseppe Berti (che menzioni nel tuo articolo).
RispondiEliminaCiao Litta, ho trovato il seguente libro sul sito della Sormani: "Crisi della civiltà liberale e destino dell'Occidente nella coscienza europea fra le due guerre". Il libro è di Giampietro Berti, editore Rubbettino (anno 2021). Non so se è l'antologia a cui ti riferivi nel tuo articolo. Sandro
RispondiEliminaSì è proprio quello. Un ottimo libro.
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