“Tu sei intelligente, ma non sei buona”. L’ambiziosa
Perele si vede respinta dal fidanzato Moshe Mordecai, un giovane assai dotato e
promettente, anzi un autentico genio, predestinato a una fulgida carriera di
rabbino. Perele non dimenticherà mai l’umiliazione subìta.
“La moglie del rabbino” rappresenta un’importante
novità letteraria: introduce per la prima volta al pubblico italiano Chaim
Grade (Vilna 1910 – New York 1982) autore di vasta notorietà in molti paesi, ma sconosciuto da noi. Anche la ricercata traduzione
dall’yiddish di Anna Linda Callow costituisce un elemento di particolare
interesse, poiché contribuisce alla conservazione di un filone fondamentale
della cultura ebraica.
Grade descrive un mondo che non esiste più: la vita
comunitaria degli ebrei dell’Europa orientale, sempre in equilibrio fra
ortodossia e secolarizzazione, fra conservazione e modernità. Il romanzo
descrive minuziosamente folte barbe grigie o bianche, dispute dotte e sottili,
usanze millenarie, scorci di vita familiare e sociale fra casa e sinagoga. (...)
Pubblicato negli Usa nel 1974 e ambientato nel
periodo fra le due guerre, La moglie del rabbino rivela un grande scrittore,
abilissimo nel tratteggiare il profilo psicologico dei personaggi, e nel
rievocare un mondo che di lì a poco sarà spazzato via brutalmente e per sempre.
A questo link, la mia recensione integrale di "La moglie del rabbino", di Chaim Grade (edizioni Giuntina) pubblicata in secondo pagina sul quotidiano Il Foglio di martedì 30 luglio.
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