La “notte di sangue a Parigi”, fra il 23 e il 24 agosto 1572, non fu
un “evento unico”. Nessun fatto storico infatti può essere esaminato, avulso
dal contesto in cui si è determinato. Con impeccabile rigore storiografico e
un’ammirevole capacità di sintesi, Stefano Tabacchi ricostruisce gli
avvenimenti cruciali di un momento decisivo della storia moderna, tuttora di
grande interesse e attualità.
Nel periodo di cui si parla, il ventennio fra il ‘60 e l’80 del XVI
secolo, in Francia divampano numerose e terribili guerre di religione. L’autore
ne enumera ben sette: tre precedenti e quattro successive alla notte di San
Bartolomeo. Il popolo è diviso in due partiti: quello ugonotto, guidato da
Coligny, dal principe di Condé e da Enrico di Borbone; e quello cattolico, che
ha per leader il duca di Guisa. La monarchia, che vuole l’unità del regno,
tenta una difficile mediazione, ma tutte le paci firmate in questo periodo si
rivelano fragili e instabili. Gli ugonotti sono due milioni, il 10 per cento
della popolazione.
Carlo IX, spalleggiato dalla regina madre Caterina de’ Medici, punta
alla pacificazione attraverso la politica matrimoniale. Dapprima il Condè sposa
la cattolica Maria di Clèves, poi il 18 agosto - quattro giorni prima della
strage - Margherita di Valois, sorella del re, va in sposa a suo cugino Enrico.
Gli ugonotti sono ospiti a corte e tutto sembra andare per il meglio, quando Coligny
rimane ferito in un misterioso attentato. Il partito protestante si ribella e
tenta di costringere il sovrano a intervenire. Messo alle strette, Carlo IX
decide di eliminare Coligny per ripristinare l’ordine, ma la scelta si rivela
improvvida e controproducente. Dilaga la violenza, la plebe si scatena, la
situazione va fuori controllo. La grande mattanza degli ugonotti, sostiene
l’autore, non risponde a un disegno prestabilito dall’alto, anzi divampa contro
la volontà del re, che non riesce a imporre la calma. Episodi di inaudita
ferocia vengono riportati da Tabacchi nei più macabri particolari – del resto,
erano piuttosto frequenti e tipici di quell’epoca.
L’assassinio di Coligny fu dunque un “coup de majesté”, una forzatura politica, mentre la strage imprevista
che ne seguì produsse una perdita di autorità per la monarchia. Quella notte sancì
il fallimento di tutti i tentativi di mediazione, la strategia della tolleranza
si rivelò impossibile.
Ben lungi dal “purificare” la Francia, come si è visto, la strage di
San Bartolomeo portò ad altre quattro guerre di religione. Tabacchi accosta
l’eliminazione di Coligny a un altro grande misfatto reale, 15 anni più tardi: il
celebre assassinio del Guisa, nel 1588, avvenuto nel castello di Blois su
ordine di re Enrico III, che sarà a sua volta assassinato l’anno dopo.
Solo la vittoria finale degli ugonotti e dei cattolici “mediatori” loro
alleati, guidati da Enrico di Borbone, e la successiva conversione di questi al
cattolicesimo, varranno a ripristinare l’autorità monarchica e porranno le
premesse per una riforma dello Stato.
“Si rimodellò fortemente il ruolo della monarchia, che sempre più fu
oggetto di attacchi da parte degli opposti partiti, ma che riuscì ad affermarsi
come centro di elaborazione di una teologia della ragione e della neutralizzazione
dei conflitti politici. Una sorta di religione laica che contribuì a fondare
l’assolutismo regio”.
Attenzione però alle fughe in avanti, avverte Tabacchi: dopo i
sanguinosi attentati che hanno sconvolto la Francia di recente, gli
accostamenti a fondamentalismo islamico, terrorismo, Isis, sono insostenibili e
fuorvianti.
Nessun commento:
Posta un commento