Il 26 febbraio scorso, sul Corriere della Sera, la rubrica Cultura (pagine
42-43) era dedicata a una lunga intervista a Bruno Pischedda, docente di Letteratura
italiana contemporanea alla Statale di Milano. Intervista a cura di Paolo Di
Stefano (peraltro, apprezzato scrittore). Lo spunto era dato dalla recente
pubblicazione del libro di Pischedda “Dieci del Novecento – Il romanzo italiano
di largo pubblico dal Liberty alla fine del secolo”, edito da Carocci, che
esamina un secolo di best seller italiani.
L’intervista reca il titolo UN
CANONE DELLA LEGGIBILITA’ e il catenaccio dice: Liala e Camilleri, Guareschi e il fantasy: vacilla il confine fra libri
alti e di svago.
Non potendo riassumere l’intera intervista, mi concentro sull’ultima
risposta. Dice Pischedda:
“Tra letteratura istituzionale e
letteratura di intrattenimento la riduzione delle distanze si è fatta più
vistosa. In un tempo non lontano distinguere era facile, tutto sommato:
Sciascia o la Morante rappresentavano il prestigio, Chiara o Bevilacqua lo svago
disimpegnato. Oggi i due livelli si avvicinano, si compenetrano: accolgono a un
medesimo titolo Michele Mari, Paolo Cognetti, Elena Ferrante, Roberto Saviano e
Donato Carrisi. Distinguere, a queste condizioni, sembrerebbe un azzardo.
Camilleri, per dirne soltanto uno: dove lo mettiamo, nella letteratura
istituzionale o in quella di intrattenimento? Io con la serie dedicata a
Montalbano l’ho messo nel romanzo di intrattenimento (e così ho fatto con la
Fallaci). Non credo che tutti siano d’accordo”.
Ecco, io invece sono d’accordo come Pischedda. In un post su fb, ho accomunato
Camilleri e De Crescenzo in questo genere letterario di massa, c.d. “di svago e
di intrattenimento”, suscitando una bella discussione e anche qualche vivace
reazione polemica. Anch’io non mi aspettavo affatto che tutti fossero d’accordo
con me, ma questo autorevole parere - insieme a quello di alcuni altri – mi rafforza nella mia convinzione.
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