sabato 28 novembre 2020

"Lo Stato", di Franz Oppenheimer

Qui di seguito, la mia recensione di "Lo Stato", di Franz Oppenheimer (Edizioni Il Foglio, 165 pagine, 14 euro) apparsa sul quotidiano Il Foglio di stamane.

“Esistono due mezzi, diametralmente opposti, che consentono all’uomo di ottenere i mezzi necessari per soddisfare i suoi improrogabili bisogni: il lavoro e la rapina, il lavoro personale e l’appropriazione violenta del lavoro altrui (…) Sicché propongo di denominare con il termine mezzi economici il lavoro personale e l’equo scambio del proprio lavoro con l’altrui. Per contro, con mezzi politici, l’appropriazione non corrisposta dell’altrui lavoro”. E ancora: “Lo Stato fu sempre un utilizzatore della violenza (…) Da ciò scaturisce la diseguaglianza economica, e quindi politica fra gli uomini. Tutto scaturì da monopoli creati artificialmente (…) Dobbiamo eliminare ogni forma di monopolio dalla faccia della terra”.

Nasce da qui, da questa concezione dello Stato come “detentore del monopolio illegittimo della violenza politica”, la visione storica ed evolutiva di Franz Oppenheimer, considerato uno dei maggiori sociologi tedeschi del Novecento, ma poco noto in Italia. Questo saggio ha avuto, dal 1907 a oggi, 64 edizioni in inglese e 83 in tedesco, ma questa è la prima in assoluto pubblicata in Italia, grazie a Carlo Gambescia (Metapolitica, Liberalismo triste) direttore delle Edizioni Il Foglio e curatore del volume.

Oppenheimer può essere considerato, a buon diritto, l’anti-Weber per eccellenza, osserva Gambescia. Se per Weber infatti lo Stato è quella comunità umana che, nell’ambito di un territorio delimitato, pretende con successo per sé il monopolio dell’uso legittimo della forza, viceversa per Oppenheimer “lo Stato può essere definito come esito dell’organizzazione di una classe che in tal modo domina sulle altre. Ciò può avvenire in una sola maniera: attraverso la conquista e l’assoggettamento di un gruppo da parte di un altro gruppo etnico, che in questo modo diventa dominante”.

L’evoluzione delle forme statuali, nel corso dei secoli e nei più diversi contesti storici e geografici, non fa che confermare, agli occhi del sociologo tedesco, questa tesi di fondo. Allo “Stato-orso”, lo Stato predatore dei tempi primitivi, che ruba il miele distruggendo l’alveare, subentra lo Stato-apicoltore, che si limita a sfruttare il lavoro dei sudditi. Seguono le istituzioni del feudalesimo, che poi decadono a favore dello Stato assoluto, fino allo Stato borghese costituzionale, una forma nuova di economia politica schiavistica e pseudo-capitalistica, ugualmente fondata sull’uso illegittimo della forza da parte di un capitale politico rapace e monopolista.

Se sulla natura originaria e intrinseca dello Stato Oppenheimer non sembra avere incertezze, sulle prospettive future tuttavia il suo “realismo” si stempera:

“Credo in questa possibilità: lo Stato cesserà di essere contraddistinto dallo sviluppo dei mezzi politici, per divenire una ‘Federazione di Liberi Cittadini’ (…) Poiché non esisteranno più classi né interessi di classe, il funzionario statale potrà finalmente diventare il guardiano imparziale dell’interesse collettivo. Lo ‘Stato’ del futuro sarà una società capace di autogovernarsi”.

Qui si inserisce quello che Gambescia definisce un “elemento idealistico”, nel senso che Oppenheimer identifica nelle idee un potente fattore di trasformazione culturale dell’individuo e della società. Una risposta debole, in definitiva, che però lascia la porta aperta al riformismo: la classe e lo Stato sono categorie storiche, quindi superabili. Il sociologo tedesco indica nell’autogoverno il frutto di un percorso che va “dall’ostile diffondersi delle orde all’unificazione pacifica del genere umano; dalla condizione ferina all’umanità; dallo Stato predatore alla Federazione di liberi cittadini”.

 

 

 

 

 

5 commenti:

  1. Essendo stato Franz Oppenheimer l'anti-Weber, forse bisognerebbe capire cosa pensava Max Weber dello Stato.

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    1. Beh, il pensiero di Weber è notissimo, essendo considerato il maggior pensatore in materia del Novecento. Nella prefazione, Gambescia ne accenna per sommi capi.

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  2. quindi per Oppenheimer anche lo Stato borghese costituzionale, sarebbe una forma di schiavismo?

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  3. Oppenheimer scrive questo libro all'inizio del secolo. Sul finire della voita parla invece di "federazione di uomini liberi", dunque l'idea di uno Stato democratico costituzionale in qualche modo gli deve essere stata più chiara, con l'evoluzione del suo pensiero

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