giovedì 12 novembre 2020

"Le cinque donne", di Hallie Rubenhold (Neri Pozza)

Qui di seguito, la mia recensione di "Le cinque donne - La storia vera delle vittime di Jack lo Squartatore", di Hallie Rubenhold (Neri Pozza) apparsa sul quotidiano Il Foglio di ieri.

Non erano prostitute. Il mito morboso di Jack lo Squartatore, uno dei più celebri serial killer della storia, mai identificato, fra l’altro ha sortito l’effetto di stravolgere e svilire le vere identità delle sventurate vittime: l’assassino tolse loro la vita, i giornalisti la dignità. Hallie Robenhold ribalta pregiudizi e luoghi comuni, ricostruendo le biografie di cinque donne infelici, povere e sfortunate, che furono sgozzate, orrendamente devastate nel corpo, sfregiate nell’anima e nella memoria.

L’autrice chiama sul banco degli imputati le spaventose condizioni sociali e l’oppressione morale dell’Inghilterra vittoriana. “Le cinque donne” è un libro che suscita sdegno, sconforto, dolore e infinita pena. Il lettore resta colpito dalla ineluttabilità dei destini, dai brutali metodi delle istituzioni, dalla mentalità ottusa e avvilente che condannava le donne a soccombere in una lotta impari.

Intorno al 1880, Londra è affollata da una massa enorme e cenciosa di disperati, poveri, mendicanti, vestiti di stracci neri di fumo e maleodoranti. Ben pochi possono permettersi un tetto: alcuni devono accontentarsi di una stanza, i più sono costretti a vagare fra luridi pensionati e le “workhouses”, gli ospizi di mendicità degradanti e infestati dai parassiti, che le donne concordano nel definire “l’esperienza più umiliante della loro vita”.

E’ in questo contesto che si consumano le storie brevi e sfortunate delle vittime. Polly, tradita e umiliata dal marito, lo abbandona e si autocondanna a una vita di stenti, mendicità, miseria, fino alla tragica notte del 31 agosto. Mary Ann avrebbe potuto ambire a una vita dignitosa, ma l’alcol decreta la sua rovina, nonostante tutti i tentativi di redenzione e disintossicazione. La svedese Elisabeth conosce l’umiliazione di una gravidanza indesiderata, dell’aborto, delle ispezioni intime, fino alla fuga in Inghilterra. Sopravvive come può, ma quando è uccisa il suo abito viene descritto “del tutto privo degli ornamenti che in genere le donne della sua risma prediligono”. Kate cerca di sottrarsi al suo triste destino, legandosi a un cantastorie. Inizia così una vita di vagabondaggio, liti continue, espedienti e tanto, tanto alcol. Lei ed Elisabeth sono assassinate nella notte del 30 settembre.

L’unica vera prostituta, delle cinque, è Mary Jane, o “Marie Janette”, giovane e bella accompagnatrice di uomini facoltosi. Lei è elegante, raffinata, vive in un bell’appartamento di un quartiere bene. Evita la trappola di chi vorrebbe ridurla in schiavitù a Parigi, riesce a tornare a Londra, ma deve nascondersi nei bassifondi per sfuggire a gente pericolosa. Il 9 novembre il suo destino è segnato. E’ l’unica a non essere assassinata in strada, e anche l’unica ad avere un sontuoso funerale. L’intero quartiere la saluta, l’impressione dell’opinione pubblica è enorme.

“I giornalisti di provincia, inclusi quelli che non erano mai stati a Londra, depredarono le storie, inventando citazioni e persino interrogatori. La disinformazione si radicò nella coscienza collettiva, proprio come accade al giorno d’oggi”.

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