mercoledì 24 giugno 2020

I Buddenbrook: una lettura multidisciplinare


Premessa. Devo le note che seguono alla lettura di “Sociologi per caso”, un bel pamphlet del mio caro amico Carlo Gambescia, uscito quattro anni fa, che ebbi l’occasione di recensire per il quotidiano Il Foglio. (Per vostra informazione e conoscenza, i sette “sociologi per caso” presi in considerazione dall’autore erano Dante, Machiavelli, Evola, Junger, Tolstoj, Pasolini e, appunto, Thomas Mann).

Nei giorni scorsi, con cinquantennale e scandaloso ritardo, ho finalmente letto per intero I Buddenbrook, romanzo che Mann scrisse ad appena 26 anni, nel 1901, e posso tornare sull’argomento con maggiore cognizione di causa.
Chiede Gambescia nel suo saggio: “Si possono leggere I Buddenbrook come un’anticipazione a “Capitalismo, socialismo, democrazia”, di Joseph Schumpeter?”. La risposta è perentoria e ci viene offerta dallo stesso Mann, che nelle sue celebri “Considerazioni di un impolitico” (1918) scrive:
“Tengo a fare una precisazione: l’idea che l’uomo del profitto, tipico del capitalismo moderno, il tipo del bourgeois con la sua concezione ascetica dell’etica professionale, sia una creatura dell’etica protestante, puritana e calvinista, è un’idea che ho sentito e scoperta da sola, senza l’ausilio di letture, per mia diretta intuizione; solo più tardi di recente, ho osservato che nello stesso tempo era stata ragionata ed espressa da dotti pensatori. Max Weber a Heidelberg e dopo di lui Ernst Troeltsch hanno trattato dell’etica protestante e lo spirito del capitalismo; portata al limite, quest’idea si ritrova nell’opera Il bourgeois, uscita nel 1913, di Werner Sombart, che interpreta l’imprenditore capitalista come la sintesi dell’eroe, del mercante e del borghese. Che egli abbia ragione nel senso più alto della parola risulta dal fatto che io, come romanziere, ho dato corpo e figura alle sue teorie dodici anni prima che egli le formulasse: posto, naturalmente, che la figura di Thomas Buddenbrook, l’incarnazione anticipata della sua tesi, non abbia influito sul pensiero di Sombart”.
Dunque Mann non si è affatto richiamato né a Weber, né a Troeltsch, e meno che mai a Sombart (semmai il contrario). Ma allora, da chi hanno preso spunto Thomas Mann e poi gli altri? Sentiamo ancora il primo e più diretto interessato:
“Come elemento nuovo, vorrei però aggiungere la supposizione, equivalente alla certezza, che la nostra identità di vedute sulla sequenza psicologica “calvinismo, borghesia, eroismo”, sussiste in forza di un catalizzatore più alto, del più alto mezzo spirituale, cioè Nietzsche. Senza tale evento che domina sovrano su tutto il nostro tempo, che incide su ogni esperienza spirituale fino nei suoi dettagli estremi, e che costituì una forma assolutamente nuova e moderna di esperienza eroica, indubbiamente quel sociologo non si sarebbe imbattuto in quella forma eroico-protestante, né il romanziere avrebbe potuto vedere la figura del suo ‘eroe’ così come la vide”.
Dunque è Friedrich Nietzsche il vero ispiratore de I Buddenbrook di Thomas Mann, e lo stesso si può dire per Max Weber e per gli altri citati.
Sempre per restare in ambito sociologico, occorre osservare infine che con il “fattore Buddenbrook”, Mann anticipa egregiamente anche la crisi del capitalismo famigliare, analizzata in seguito da Schumpeter. Insomma I Buddenbrook è un romanzo straordinario, non solo per l’intrinseco valore letterario, ma anche sotto il profilo storico, filosofico e sociologico.


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