lunedì 14 novembre 2016

Il Parlamento “delegittimato”: altra panzana

Un’altra bufala messa in circolazione in questo periodo dai sostenitori del No è quella secondo cui questo governo (“che non è mai stato eletto dal popolo”) e questo Parlamento (“eletto, anzi nominato con una legge dichiarata incostituzionale da una sentenza della Corte”) non sarebbero legittimati – anche dal punto di vista formale, legale e giuridico – a proporre e a votare una riforma costituzionale. Si tratta di tesi del tutto inconsistenti e infondate, e anche un po' ridicole.
Punto primo. In Italia siamo in “regime parlamentare”. Cioè il governo trae legittimità unicamente dalla fiducia del Parlamento. Da nient’altro. Nessun governo, dal ’48 a oggi, è mai stato eletto direttamente “dal popolo”. Il popolo elegge il Parlamento, il Parlamento vota (o nega) la fiducia al governo. E basta. Negli ultimi 20 anni, l’introduzione di un sistema elettorale maggioritario (prima il Mattarellum, poi il Porcellum) ha creato in molti un errore di percezione: costoro hanno avuto “l’impressione” di eleggere il governo, tramite un leader e la sua coalizione vincitrice (Berlusconi, Prodi). Ma non è stato così. Infatti, ogni volta che quella maggioranza è saltata, se ne è creata un’altra e il Parlamento ha votato la fiducia a un altro governo (non mi dilungo negli esempi). E così sarà in futuro, anche dopo l’eventuale vittoria del Sì alla riforma costituzionale, perché la riforma non tocca la natura del regime parlamentare. Questo governo è legittimo quanto tutti i precedenti.
La seconda tesi, secondo cui il “Parlamento dei nominati” non sarebbe autorizzato a modificare la Costituzione, perché delegittimato dalla Corte, è appena un poco più insidiosa e suggestiva, ma altrettanto infondata.
La sentenza della Corte costituzionale (1/2014) che ha dichiarato parzialmente incostituzionale la legge elettorale, dice chiaramente che la decisione “non tocca in alcun modo gli atti posti in essere in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate, compresi gli esisti delle elezioni svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto”. E aggiunge che, “del pari, non sono riguardati gli atti che le Camere adotteranno prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali”.
Il linguaggio è ostico, ma il significato è chiaro. Nessun equivoco è possibile. Eppure c’è chi tenta di sollevare polveroni pseudo-giuridici, confidando nella complessità della materia.
E’ il caso del prof. Guido Calvi, ex senatore Pds, membro non togato del Consiglio Superiore della Magistratura, che ancora nei giorni scorsi ha sostenuto che “la sentenza della Corte costituzionale del 2014, dichiarando incostituzionale il Porcellum, ha anche prescritto che il Parlamento “rimaneva legittimamente in carica solo (???) per poter fare una nuova legge elettorale”, mentre invece si è messo mano alla Costituzione”.
Questa sparata, sparsa ai quattro venti dai “Giuristi del No”, è evidente frutto di malafede e disonestà intellettuale. Calvi non può non conoscere la sentenza della Corte, che oltretutto più avanti specifica:
E’ pertanto fuori da ogni ragionevole dubbio che nessuna incidenza è in grado di spiegare la presente decisione neppure con riferimento agli atti che le Camere adotteranno prima di nuove consultazioni elettorali: le Camere sono organi costituzionalmente necessari e indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare”.

Non bisognerebbe mai contrabbandare le proprie opinioni come legge per tutti; e meno che mai confondere i desideri con la realtà. Non si fa, senatore Calvi.

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