Qui di seguito, la mia recensione di "Breve storia dell'economia", di Giorgio Arfaras (Salani) apparsa stamane in seconda pagina sul quotidiano Il Foglio, con il titolo "It's the economy..."
“Sarà mia cura provare a rendere chiari i meccanismi fondamentali senza fare ricorso a concetti troppo complessi, anzi vorrei riuscire ad avvicinare questa materia ai lettori, evidenziando i punti di contatto, anche in questo caso, con la vita quotidiana”.
Un
anno dopo Filosofi e tiranni, Giorgio Arfaras - originalissimo
economista con una passione speciale per il pensiero politico – propone al
pubblico non specializzato una Breve storia dell’economia (Salani)
brillante e riuscito tentativo di illustrare in poco più di 200 pagine “quante
cose della vita spiega l’economia e come entra nella vita quotidiana di tutti
noi”.
La
parola “diseguaglianza” si presta a qualche fraintendimento, spiega l’autore.
La crescita della diseguaglianza, infatti, può essere il frutto del maggior
tenore di vita assoluto dei meno abbienti, che però cresce meno di quello dei
più abbienti. In altre parole, i meno abbienti sono diventati più ricchi, i più
abbienti ancora più ricchi. Negli ultimi secoli, è precisamente questa la
modalità di crescita della diseguaglianza che si è avuta in tutti i paesi
industrializzati.
Con
la rivoluzione industriale, prosegue Arfaras, si afferma il “capitalismo”, cioè
un sistema economico dove le innovazioni sono sviluppate dagli imprenditori. La
crisi del ’29 è la “pietra d’inciampo” del primo capitalismo dell’8-900, il
boom del secondo dopoguerra invece inciampa nella stagflazione degli anni
Settanta. A partire dai primi anni ’80 e fino al 2008 prevale il pensiero
neo-liberista, i cui risultati però l’autore definisce “sfuggenti”: i tassi di
crescita nell’era della globalizzazione sono circa la metà di quelli registrati
nei decenni del dopoguerra. Al contempo, sorge il populismo.
Negli
ultimi decenni, la sofisticazione dell’economia ha creato una maggiore uguaglianza
fra gli uomini e le donne, quando sono entrambi molto istruiti, e una maggiore
diseguaglianza fra i molto istruiti e quelli che non lo sono. E’ l’economia
della conoscenza: “Il capitalismo si sta diffondendo in modo molecolare nella
vita di tutti i giorni”. Le persone ambiziose lasciano le città e le zone meno
dinamiche, in cui non nascono nuove imprese, e si trasferiscono in città più
dinamiche: “il fenomeno è internazionale”.
Con
l’avvento del populismo, la parte meno colta e più povera dell’elettorato si
ribella: non ai ricchi, ma alle regole della democrazia. Il disagio all’origine
del populismo è economico o culturale? Se fosse solo di natura economica, risponde
Arfaras, dovrebbe sgonfiarsi con la crescita dell’economia. In realtà il
rifiuto riguarda anche i cambiamenti nella morale, la libertà sessuale e altri
fattori di frustrazione.
Anche
sull’immigrazione, Arfaras sfata alcuni luoghi comuni: “E’ difficile immaginare
che con lo sviluppo economico dei paesi d’origine, l’immigrazione possa
fermarsi”.
I
paesi in via di sviluppo sono quelli che mostrano maggiore concentrazione della
ricchezza, che raggiunge in media il 50% della ricchezza complessiva. Viceversa
nei paesi sviluppati la media è del 15% circa. Il paese con la minore concentrazione
della ricchezza è la Germania, quello con la più alta la Russia.
Lo
sviluppo cinese ha avuto caratteristiche simili a quelle dell’Urss degli anni
Trenta: urbanizzazione accelerata dei contadini e scolarizzazione di massa. Il
risultato è che l’élite cinese oggi è composta per un terzo da ingegneri. Le
famiglie cinesi risparmiano molto per l’assenza dello Stato sociale: “La
domanda cruciale, economica ma alla fine politica, diventa: lo Stato sociale e
un settore finanziario sofisticato, sono compatibili con un sistema a partito
unico come quello cinese?”.
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