domenica 22 dicembre 2024

Filosofi e Tiranni, di Giorgio Arfaras (Paesi Edizioni)

Qui di seguito, la mia recensione di Filosofi e Tiranni, di Giorgio Arfaras (Paesi Edizioni) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di mercoledì 18 dicembre.

L’ordine liberale si trova in crisi, a fronte di una duplice minaccia: al loro interno, le democrazie sono assediate dal populismo, mentre all’esterno subiscono l’attacco delle autocrazie. Per uscire dalla crisi di consenso, sostiene Giorgio Arfaras, va promossa la mobilità sociale, e non l’egualitarismo. Nel suo brillante excursus sulla storia economica dell’8-900, l’autore offre innumerevoli spunti di riflessione anche politica e filosofica, con considerazioni mai scontate o banali.

Così come la crisi degli anni Trenta fu la “pietra d’inciampo” del capitalismo ottocentesco, altrettanto la stagflazione degli anni Settanta lo fu per i “Trenta Gloriosi” del secondo dopoguerra. Questi ultimi permisero la nascita del welfare state nell’occidente democratico, mentre nel periodo successivo il pensiero egemone neo-liberale ha accompagnato la globalizzazione dei mercati.

In questo secolo, la crisi innescata prima dai sub-prime poi dalla pandemia, ha visto un ritorno del ruolo decisivo degli Stati e dei governi, non solo con l’immissione di grandi masse di denaro in funzione anticiclica, ma anche con un vero e proprio interventismo nella politica economica dei governi, indotti a presentare specifici grandi progetti di investimento, sottoposti all’approvazione delle istituzioni europee.

Secondo la vulgata maggioritaria, le democrazie a capitalismo avanzato hanno assistito impotenti all’emergere di oligarchie cosmopolite, annegate nel mare delle disuguaglianze, che è all’origine di quella “rivolta contro le élite” matrice ideologica del populismo. Viceversa, una minoranza sostiene che le idee neo-liberali, globalizzazione compresa, sono frutto dell’ambizione di un nuovo ceto medio, desideroso di ampliare la propria fortuna. Si tratta di una “economia della conoscenza” che si sviluppa ai danni del ceto medio debole e meno qualificato.

“Si osserva, ecco il punto cruciale, che con una specializzazione elevata si resta nella classe media, a differenza che con una specializzazione normale. Le famiglie con due redditi da lavoro non a specializzazione elevata, tendono a scivolare nella parte più bassa della classe media”.

La “relazione simbiotica” fra democrazia e capitalismo – spiega Arfaras – spinge gli elettori cosiddetti ‘decisivi’ a votare per i partiti che promuovono i settori avanzati; questi partiti, per allargare il consenso, possono a loro volta attivare politiche a sostegno di quei settori arretrati che versano in condizioni difficili.

In conclusione, “l’essenza della democrazia non è la redistribuzione o l’uguaglianza, ma il progresso della classe media forte, che redistribuisce parti del proprio reddito per ridurre la disuguaglianza”.