Qui di seguito, la mia recensione di Appuntamento a Kronstadt, di Edgar Reichmann (Edizioni Atlantide) apparsa sul quotidiano Il Foglio di mercoledì 15 maggio.
La
Kronstadt di cui si parla qui è la città romena di Brasov - Kronstadt sotto gli
Asburgo - nella Romania transcarpatica ai confini con l’Ungheria. Per alcuni
anni, dopo la seconda guerra mondiale, assumerà il nome sinistro di “Città di
Stalin”. Apparso con successo in Francia nel 1984, Appuntamento a Kronstadt
è ora pubblicato per la prima volta in Italia.
Arnim
Stern si reca in Spagna a trovare il vecchio amico Ariel: entrambi sono ebrei romeni
in esilio. Arnim è un intellettuale fragile, tormentato da incubi e
allucinazioni che lo accompagnano da sempre. Ariel, ai tempi di
Brasov/Kronstadt, era invece un ebreo povero e suo compagno di giochi
nell’adolescenza; di volta in volta è stato amico del cuore, rivale in amore,
comunista al potere, infine “amico ritrovato” ma sempre ambiguo e sfuggente.
L’autore
adotta una tecnica narrativa particolare: rimbalza di continuo dalla prima alla
terza persona. Ne risulta un romanzo dal ritmo sincopato, dall’atmosfera
sospesa, sempre in bilico fra il mondo reale e le orribili visioni oniriche del
protagonista.
In
attesa di incontrare Ariel, stranamente assente da casa, Arnim ricorda la
Kronstadt della guerra, una sorta di terra di mezzo fra occupanti tedeschi e notabili
locali, fino ai bombardamenti e alle più immani tragedie. L’avvento al potere dei
comunisti comporta nuove angosce, un regime oppressivo cui Arnim riesce a sottrarsi
per un soffio, proprio grazie all’intervento di Ariel.
“Avevo
appreso che il porto marittimo di Costanza era chiuso agli emigranti in
partenza per Haifa. Le autorità temevano il malcontento di coloro che restavano,
perché la collera popolare avrebbe potuto esplodere di fronte allo spettacolo
degli ebrei che lasciavano in massa il paese”.
Dopo
un breve tentativo di stabilirsi in Israele, Arnim si trasferisce a Parigi,
dove conduce un’esistenza da esiliato, senza tuttavia riuscire a sottrarsi alla
violenza sotterranea della Guerra fredda. L’intellettuale ebreo sradicato ed
errante fatica a distinguere fra le proprie allucinazioni e una realtà anch’essa
minacciosa. Infine decide di cercare riparo dall’amico, che ora è ricco e vive
in Galizia.
“Perché quello che più mi ossessiona al di là dell’erranza, lo porto nascosto nel profondo senza averne chiara coscienza: un desiderio sessuale di morte, un’inconfessabile ricerca che mi conduca alla certezza della reversibilità di questo viaggio senza ritorno. Più che il bisogno del radicamento, ciò che mi tormenta è la nostalgia di un’origine perduta ancora prima della più antica delle Storie”. Illuminante una citazione di Edmond Jabès: ieri è oblio, domani è silenzio.