Qui di seguito, la mia recensione di "In alto", di Thomas Bernhard (Guanda) pubblicata sul quotidiano Il Foglio di ieri.
“Nella
sala delle udienze mi sento soffocare, esco, corro per le strade, il mio
articolo si fa sempre più conciso, un buon articolo su una storia sporca, sono
incapace di salutare, sono incapace di tutto, dopo aver scritto il mio articolo
un cieco furore mi spinge a correre per ore in città”.
Thomas
Bernhard ha soli 28 anni, e in effetti collabora proprio come cronista
giudiziario con un giornale di Salisburgo, quando scrive questo “In alto”
(1959) romanzo giovanile che però vedrà la luce solo trent’anni più tardi, alla
morte dell’autore. Il volume presenta un sottotitolo che è tutto un programma,
“Tentativo di salvezza, nonsenso”: a posteriori, sembra il manifesto letterario
dell’introverso e scontroso scrittore austriaco. L’intera opera bernhardiana, infatti,
è caratterizzata da una congenita aporìa. I suoi romanzi si presentano come
tragedie annunciate, condanne senza appello, prigioni senza via di fuga. Qualsiasi
tentativo di salvezza appare insensato e vano.
“In
alto” è un romanzo senza trama, dal ritmo sincopato e rapsodico, che anticipa i
temi ricorrenti di Bernhard: l’isolamento claustrofobico, la nevrosi, l’incapacità
di comunicare, la predestinazione alla sconfitta, il suicidio. L’Io Monologante
di Bernhard qui si muove a tentoni, annaspa, si impunta, inveisce, ma il suo
malessere interiore è insormontabile.
“Pensieri
si addensano nella mia mente e rifiutano di essere registrati, quanto vale un
pensiero registrato nel mio cervello? Emergono, affondano”.
Bernhard
ricorre a una prosa allucinata, mediante un uso compulsivo della virgola, degli
stacchi, degli incisi, per rendere efficacemente il processo mentale erratico e
disturbato di un giovane uomo privo di equilibrio psichico. Anche i vari personaggi
che costellano la narrazione, non sono in realtà che interlocutori occasionali,
espedienti narrativi che consentono di descrivere, per contrasto, la
personalità solipsista del protagonista: “Ubbidire con la massa, distruggere
con la massa, annientare con la massa, colare a picco con la massa”.
Non
mancano, in questo romanzo giovanile, espliciti riferimenti all’universo kafkiano:
“Anch’io dunque devo comparire davanti a un tribunale, devo comparire davanti a
un’intera corte di giustizia, mi cercherò il tribunale più severo che esiste,
un tribunale che mi distrugga finché non resti più nulla di me, il tribunale
emetterà il giudizio che mi spetta, si riunirà a porte chiuse e mi
assegnerà a un porcile, un porcile per uomini, destinato a creature della mia
specie”.
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